Il Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) ha pubblicato lo studio più completo mai realizzato finora sui costi associati all’impatto futuro della crisi climatica. Anche nello scenario emissivo migliore, il reddito medio calerà del 19% entro metà secolo. Soprattutto nei paesi più poveri e meno responsabili dell’aumento delle temperature. Mitigare il riscaldamento globale farà una differenza enorme dopo il 2050. Se restiamo sotto i 2°C la perdita di reddito si stabilizza attorno al 20%, se non facciamo nulla più di oggi salirà fino al 60%
Entro il 2050, l’impatto della crisi climatica ci costerà 38mila mld $ l’anno
(Rinnovabili.it) – Nei prossimi 25 anni l’aumento della temperatura globale, i cambiamenti delle precipitazioni e gli eventi climatici estremi si mangeranno quasi 1/5 del nostro reddito medio, anche nello scenario emissivo migliore. La crisi climatica colpirà soprattutto i paesi meno sviluppati aumentando le diseguaglianze tra nord e sud globali. Nella seconda metà del secolo, se non faremo nulla più di adesso per mitigare il cambiamento climatico, i nostri redditi si ridurranno del 60% rispetto a oggi. Stabilizzare il clima, invece, lascia uno spiraglio per evitare questo peggioramento ulteriore.
I danni causati dall’impatto della crisi climatica saranno “ingenti” ovunque, anche nei paesi “altamente sviluppati come Germania, Francia e Stati Uniti”, afferma Leonie Wenz, scienziata del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) e prima autrice di uno studio pubblicato su Nature. La ricerca calcola i danni economici del cambiamento climatico con una nuova metodologia che tiene conto di più fattori rispetto agli studi analoghi condotti in passato. E ne conclude che i costi della crisi climatica saranno molto più alti di quanto ci aspettavamo finora.
Ignorare la crisi climatica ci costa 6 volte più che affrontarla subito
Entro il 2050, il peso della crisi climatica arriverà a 38.000 miliardi di dollari l’anno. Se restiamo sulla traiettoria emissiva attuale, nel 2100 questi costi potrebbero raddoppiare rispetto alle stime avanzate finora. Una prospettiva che si traduce in un messaggio chiaro: costa molto meno ridurre adesso le emissioni e l’impatto antropico sul clima. Per abbandonare le fossili, rimpiazzarle con le rinnovabili e accelerare la transizione mantenendo il riscaldamento globale sotto i 2°C, dovremmo spendere 6.000 mld $ da qui a metà secolo. Sei volte di meno di quanto saremo costretti a spendere se non facciamo nulla.
“Questi danni a breve termine sono il risultato delle nostre emissioni passate. Avremo bisogno di maggiori sforzi di adattamento se vogliamo evitarne almeno alcuni. E dobbiamo ridurre drasticamente e immediatamente le nostre emissioni; in caso contrario, le perdite economiche diventeranno ancora più grandi nella seconda metà del secolo”, aggiunge Wenz.
Un clima di disuguaglianza
Lo studio del PIK si basa su dati reali rilevati negli ultimi 40 anni in 1.600 regioni del Pianeta e riesce a dare una stima dei costi a livello nazionale. Che variano molto da paese a paese. “Le maggiori perdite inevitabili”, perché ormai non tamponabili anche nello scenario climatico migliore, si registrano “alle latitudini più basse, in regioni con minori emissioni storiche cumulative e minori redditi attuali”, spiega lo studio. Colpendo quindi in modo sproporzionato chi oggi sta peggio.
Paesi come l’Iraq, il Qatar e il Pakistan vedranno una riduzione del reddito medio al 2050 del 26-31%, Botswana e Mali del 25%, il Brasile del 21%. Le stime ritenute più attendibili finora ritenevano che l’impatto della crisi climatica avrebbe risparmiato in larga parte l’emisfero nord. Secondo il PIK non sarà così. Le uniche regioni che guadagneranno dalla crisi climatica sono quelle artiche. Mentre gli Stati Uniti e la Germania vedranno i redditi medi contrarsi dell’11%, la Gran Bretagna del 7%, la Francia del 13%. A erodere la nostra ricchezza sarà l’impatto del cambiamento climatico su molti aspetti rilevanti per la crescita economica come le rese agricole, la produttività del lavoro e lo stato delle infrastrutture.
Stime altissime, ma “conservative”
La contrazione del 19% del reddito rispetto a uno scenario ipotetico in cui il riscaldamento globale è ininfluente è una media globale. Ma è anche una stima conservativa. Solo considerando le incertezze legate ai fattori inclusi in questo studio, la forchetta va da un minimo dell’11% a un massimo del 29%. Ma queste cifre, spiegano dal PIK, sono sicuramente parziali.
Lo studio infatti non include i danni che potranno derivare da ondate di calore, aumento del livello dei mari, uragani e cicloni, degrado degli ecosistemi naturali, minacce per la salute umana e innesco di meccanismi di feedback del sistema climatico una volta superati determinati punti di non ritorno.
“I paesi meno responsabili del cambiamento climatico subiranno una perdita di reddito maggiore del 60% rispetto ai paesi a reddito più elevato e del 40% rispetto ai paesi a maggiori emissioni. Sono anche quelli con meno risorse per adattarsi ai suoi impatti”, sottolinea Anders Levermann del PIK e coautore dello studio. E aggiunge: “Sta a noi decidere: il cambiamento strutturale verso un sistema basato su energia rinnovabile è necessario per la nostra sicurezza e ci farà risparmiare denaro. Rimanere sulla strada che stiamo percorrendo attualmente porterà a conseguenze catastrofiche. La temperatura del pianeta può essere stabilizzata solo se smettiamo di bruciare petrolio, gas e carbone”.