Rinnovabili • Cop29 Meloni: le reazioni al discorso della premier a Baku

Cop29, tutte le critiche al discorso di Giorgia Meloni

Il discorso di Giorgia Meloni alla COP29 ha suscitato polemiche per il mancato focus sull'abbandono delle fonti fossili, enfatizzando invece gas, nucleare e tecnologie marginali. La posizione di ECCO e Italian Climate Network

Cop29 Meloni: le reazioni al discorso della premier a Baku
crediti: Cop29.az

Doveva essere un discorso “alto”, ha solo riproposto lo strabismo che affligge molti degli Stati che animano il processo negoziale sul clima. L’intervento alla Cop29 di Meloni, durante la plenaria del 13 novembre, ha lasciato da parte le priorità indicate dalla scienza del clima e le soluzioni già disponibili. E si è concentrato su altri temi. Che dovrebbero essere marginali, a leggere i rapporti dell’IPCC, le stesse decisioni prese alle Cop precedenti, e le discussioni in corso al summit sul clima Cop29 di Baku. Ma che, non solo in Italia, sono sempre più al centro delle agende dei governi.

Sono le critiche mosse da think tank e osservatori al discorso della presidente del Consiglio. Vediamo più nel dettaglio cosa ha detto Giorgia Meloni e quali sono i rilievi mossi.

Allontanamento dalle fossili, tema messo sotto il tappeto

Durante la seduta plenaria alla Cop29 di Baku, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha delineato in pochi minuti la sua visione energetica. È una visione che dice di partire dai risultati della Cop28 di Dubai, ma “dimentica” il risultato più importante.

Quale? La decisione di allontanarsi dalle fossili (transitioning away from fossil fuels) di cui parla l’articolo 28 dell’accordo sulla Prima Global Stocktake. Lo sottolinea il think tank italiano ECCO.

ECCO: Italia affezionata al gas, punta su tecnologie marginali

Cosa aveva detto alla Cop29 Meloni il 13 novembre?

“Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per migliorare il processo di transizione. Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie a disposizione. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, il nucleare da fusione che potrebbe produrre energia pulita, sicura e illimitata.”

Secondo ECCO, le parole della presidente del Consiglio sono sbilanciate e non riflettono il Dubai Consensus, l’accordo raggiunto nel 2023 al summit sul clima. Allora, tutti i paesi “compresa l’Italia, a guida Meloni”, sottolinea ECCO, “decisero di avviare un percorso di abbandono delle fonti fossili (tutte, carbone, petrolio e anche gas) mentre alle altre tecnologie (nucleare, biocarburanti, CCS) è stato riconosciuto un ruolo marginale”.

L’Italia dice addio alle fossili puntando sul gas…fossile

Il think tank ritiene che il discorso di Meloni rifletta la priorità assegnata dal governo allo sviluppo del gas fossile. L’Italia continua a investire in infrastrutture per il gas, tra GNL e gasdotti hydrogen-ready, come esemplificato dal progetto del SouthH2 Corridor tra Nord Africa e Germania.

Ma, se si considerano gli scenari dei consumi di gas compatibili con gli obiettivi di Parigi, dice ECCO, nuove infrastrutture del gas non sono necessarie per la sicurezza energetica nazionale e, per l’Italia, non ha senso diventare un hub del gas del Mediterraneo. Sono le due narrazioni che il governo spinge da tempo.

Il nucleare è una falsa soluzione per la decarbonizzazione dell’Italia

Allo stesso modo, ECCO critica l’enfasi data al nucleare. Perdipiù alla fusione, tecnologia ancora di là da venire. Su cui, sì, l’Italia sta investendo molto lato ricerca. Ma che non darà frutti concreti per la decarbonizzazione prima di diversi decenni. Anche se con tempi più rapidi, neppure il nucleare da fissione di nuova generazione, su cui il governo sta lavorando alacremente, arriverà in tempo. Tradotto: il nucleare non serve alla decarbonizzazione dell’Italia, taglia corto il think tank.

Perché l’energia dall’atomo non serve agli interessi italiani, nell’ottica degli obiettivi sul clima al 2030 e al 2050 e della traiettoria della transizione energetica che ne deriva? Secondo ECCO, ci sono 5 criticità principali:

  • Tempi lunghi e incompatibilità con obiettivi climatici – La costruzione di centrali richiede decenni, rendendo il nucleare non idoneo ai target di decarbonizzazione 2030-2050.
  • Costi elevati e inefficienza economica – Realizzazione e gestione sono molto più costose rispetto a fonti rinnovabili, con un impatto significativo su tasse e bollette.
  • Rigidità operativa – La scarsa capacità di modulare la produzione ostacola la complementarità con le rinnovabili, aumentando la necessità di accumuli energetici.
  • Gestione delle scorie e dismissioni complesse – Mancano soluzioni sicure e definitive per rifiuti radioattivi, con costi socializzati e ritardi enormi (come mostrato dai casi italiani).
  • Scarso contributo globale alla decarbonizzazione – Anche negli scenari ottimali, il nucleare coprirà solo una quota marginale della domanda energetica globale ed europea (8%-15% al 2050).

Biocarburanti e CCS sono marginali. E lo resteranno

Biocarburanti e CCS, altre soluzioni citate da Meloni, sono ugualmente critiche. La Cop28 le ha relegate tra quelle marginali, infatti. L’Italia continua invece a spingere per i biocarburanti in Europa (con zero successi per il momento) e si sta muovendo lato CCS con progetti come Ravenna CCS di Eni che potrebbero avere una valenza europea.

Sui biocarburanti, ECCO evidenzia 3 grandi criticità:

  • Concorrenza con l’uso agricolo alimentare – La produzione di biocarburanti di prima generazione richiede ampie superfici agricole, causando competizione con la produzione di cibo, aumento dei prezzi alimentari e potenziale insicurezza alimentare, soprattutto in aree già vulnerabili.
  • Deforestazione e cambiamenti d’uso del suolo – La conversione di foreste in terreni agricoli per coltivazioni dedicate ai biocarburanti compromette la capacità di assorbimento di CO2, aumentando le emissioni nette e aggravando il cambiamento climatico, specialmente in regioni tropicali.
  • Costi e limiti di sostenibilità delle materie prime avanzate – I biocarburanti di seconda generazione, sebbene più sostenibili, sono limitati dalla disponibilità di residui organici e richiedono processi produttivi complessi e costosi, spesso dipendenti da sussidi governativi per essere competitivi.

La Cop29, Meloni, l’ideologia e la neutralità tecnologica

Sulla stessa linea Italian Climate Network (ICN), che parla di “abbandono formale” delle fossili “tramite investimenti in un’altra fonte fossile (il gas)”. E bolla come “false promesse” dettate da “ottimismo tecnologico” i (numerosi) passaggi dedicati da Meloni al nucleare.

I punti su cui si sofferma ICN, però, sono quelli che portano anche alla Cop29 di Baku due grandi cavalli di battaglia del governo (non solo quello attuale): l’accusa di approccio ideologico a qualsiasi approccio diverso da quello dell’esecutivo, e il mantra della neutralità tecnologica. Elementi che rendono il discorso alla Cop29 di Meloni “lontano dall’urgenza reale e intriso di climate delay.

Cosa aveva detto Giorgia Meloni?

“L’Italia intende continuare a fare la propria parte. Destiniamo già gran parte degli oltre quattro miliardi di euro del Fondo per il Clima al Continente africano e continueremo a sostenere iniziative come il Green Climate Fund e il Loss and Damage Fund, oltre che a promuovere il coinvolgimento delle Banche multilaterali di sviluppo. Ma è altrettanto prioritario che il processo di decarbonizzazione prenda in considerazione la sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. La natura va difesa con l’uomo al centro. Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori strada verso il successo. La strada giusta è quella della neutralità tecnologica, perché attualmente non esiste un’unica alternativa all’approvvigionamento da fonti fossili.”

Secondo la Direttrice Scientifica di ICN, Serena Giacomin, Meloni sbaglia a descrivere la transizione ecologica come ‘ideologica’. “La scienza climatica non si fonda su ideologie ma su dati ed evidenze”, spiega, suggerendo che “parlare di ideologia non è solo fuorviante, è un chiaro esempio di climate delay, ossia quel meccanismo di ritardo – di cui i proclami politici sono intrisi – che ostacola un contrasto efficace e rapido alla crisi climatica. Questo ritardo spesso si nutre di ottimismo tecnologico, di promesse future, dell’affidarsi a soluzioni lontane o più simili a chiacchiere al vento, piuttosto che di azioni concrete da un punto di vista tecnico e scientifico”.

Parlare di fusione nucleare è un esempio di questo atteggiamento, spiega Giacomin. Non perché la fusione sia irrealizzabile, ma perché la priorità è “implementare tecnologie già disponibili”. Tanto più che “queste tecnologie ci costano sempre meno”, come mostrano tutte le analisi sulle curve di costo delle rinnovabili come il fotovoltaico.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.