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COP26, tutti i nuovi obiettivi al 2030 restano “completamente inadeguati”

L’analisi di Climate Action Tracker fa il punto sulla traiettoria di riscaldamento globale su cui ci troviamo con gli ultimissimi annunci di Glasgow. La fotografia è impietosa: abbiamo accorciato solo del 17% il gap che ci separa dagli 1,5 gradi

COP26: con i nuovi obiettivi climatici, siamo ancora a +2,4°C
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La COP26 ha ancora un “gigantesco gap di credibilità”

(Rinnovabili.it) – Più di 140 paesi hanno presentato degli obiettivi sul clima più ambiziosi prima di arrivare a Glasgow o durante la prima settimana di COP26. Insieme coprono il 90% delle emissioni globali. Le promesse sono state presentate come “leadership climatica” o come “progetti ambiziosi”, o ancora come “impegni seri” per contrastare il cambiamento climatico. Espressioni di cui sono pieni i comunicati ufficiali della presidenza inglese. La realtà è molto diversa: c’è ancora un “gigantesco gap di credibilità, di azione e di impegno” tra l’obiettivo del vertice sul clima, cioè tenere a portata gli 1,5 gradi, e la traiettoria di riscaldamento globale su cui ci troviamo con le nuove promesse.

crediti: CAT

Obiettivi 2030 “totalmente inadeguati”

I nuovi obiettivi al 2030 restano “totalmente inadeguati”, visto che condannano il pianeta a un riscaldamento globale di 2,4°C entro la fine del secolo. Quasi un grado sopra la soglia che ci permetterebbe di schivare l’impatto più devastante del cambiamento climatico. Lo scrive Climate Action Tracker (CAT), iniziativa di Climate Analytics e New Climate Institut che monitora i progressi globali sul clima dal 2009 ed è una delle fonti più affidabili in materia.

La nuova analisi aggiorna le stime precedenti con le ultimissime promesse annunciate da Glasgow nell’ultima settimana. Una utilissima cartina tornasole per verificare la distanza tra gli annunci e la realtà, facendo la tara alle dichiarazioni trionfalistiche sulle emissioni di metano, sui sussidi alle fossili, sull’addio al carbone e sulla finanza sostenibile che hanno riempito la prima metà del summit sul clima.

crediti: CAT

Quello che dovrebbe preoccuparci di più, spiega CAT, è la lentezza con cui le promesse sono tradotte in politiche concrete. “Con le politiche attuali, stimiamo che il riscaldamento di fine secolo sia di 2,7°C. Mentre questa stima di temperatura è scesa dalla nostra valutazione di settembre 2020, nuovi importanti sviluppi politici non sono il fattore trainante. Abbiamo bisogno di vedere un profondo sforzo in tutti i settori, in questo decennio, per decarbonizzare il mondo per essere in linea con 1,5°C”, scrivono gli analisti.

Se guardiamo le promesse, dal Leaders Summit on Climate organizzato da Biden lo scorso aprile a oggi il passo avanti c’è stato. Prima la stima di riscaldamento globale batteva sui 2,4 gradi, i nuovi impegni di questi mesi hanno rosicchiato via altri 0,3°C. Ma questo sviluppo dipende quasi in toto dai target di neutralità climatica di Cina e Stati Uniti, formalizzati con i piani di lungo termine presentati all’UNFCCC.

Tutti devono fare di più alla COP26

Quanto valgono, in termini assoluti, i nuovi impegni sul clima? La COP26 nella prima settimana e gli annunci dell’ultimo anno hanno tolto dal conteggio fra le 3,3 e le 4,7 Gt di anidride carbonica equivalente (CO2e), cioè all’incirca il 15-17% del gap che ci separa dalla traiettoria giusta per gli 1,5°C nel 2030. “Anche con tutti i nuovi impegni di Glasgow per il 2030, nel 2030 emetteremo circa il doppio di quanto richiesto per 1,5°. Pertanto, tutti i governi devono riconsiderare i loro obiettivi”, continua CAT.

I contributi maggiori sono arrivati dai nuovi piani di UE, USA e Cina. Ma i tre paesi finiscono in categorie diverse quanto ai piani per la neutralità climatica: promossa l’Europa (insieme a UK, Cile e Costarica), cartellino giallo per l’America (che finisce insieme a Germania, Canada e Corea del Sud), e cartellino rosso per Pechino, in compagnia di Giappone, Australia e Nuova Zelanda.

Molti dubbi anche sula solidità dei piani per la neutralità climatica. “Se tutti gli impegni o gli obiettivi netti zero annunciati e in discussione sono attuati”, nel 2100 dovremmo arrivare a 1,8°C di riscaldamento globale dopo aver toccato temporaneamente un picco di 1,9 gradi. “Ma questo è solo se questi obiettivi sono pienamente implementati, ed è un grande se. La nostra analisi mostra che i paesi con un piano “accettabile” per net-zero coprono solo il 6% delle emissioni globali”. Peraltro questo, che CAT definisce “scenario ottimistico”, non è compatibile con Parigi e potrebbe comunque portare a un global warming di 2,4°C date le informazioni parziali fornite dagli Stati sui loro piani.

Il peso di carbone, gas e metano

Allarme rosso sul carbone. I risultati della COP26 sono troppo deboli. C’è ancora troppo carbone in pipeline in paesi come Cina, India, Indonesia e Vietnam, mentre altri Stati come Giappone, Corea e Australia prevedono di usarlo ancora come pilastro del mix energetico fino al 2030. Il carbone dovrebbe invece sparire entro il 2030 dalle economie avanzate e al più tardi nel 2040 nei paesi in via di sviluppo.

Attenzione anche al gas. “Nei sei anni dall’Accordo di Parigi, le emissioni di CO2 dal gas sono cresciute del 9%, mentre quelle dal carbone e dal petrolio sono in calo”, considera CAT. Non può essere considerata energia di transizione senza mettere alcun freno fin dal principio. “Il gas per la produzione di elettricità, come il carbone, deve raggiungere il picco in questo decennio, ed essere in gran parte eliminato a livello globale nei prossimi decenni”.

Quello delle emissioni di metano, invece, è un fronte ingannevole. I risultati ottenuti a Glasgow sono in gran parte aria fritta, avverte CAT. “La Global Methane Pledge ha il potenziale massimo di ridurre il gap emissivo al 2030 del 14% e il riscaldamento di -0,12°C entro il 2100”. E molto di questo potenziale è già incluso nei piani climatici annunciati. (lm)