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Contro il riscaldamento globale serve un cambiamento globale

Per arginare la crisi climatica è necessario agire immediatamente attraverso obiettivi condivisi e un impegno che coinvolga tutti.

riscaldamento globale
Credits: UNclimatechange (CC BY-NC-SA 2.0)

di Gianni Pietro Girotto

A parole, gli sconvolgimenti climatici e l’ambiente sono da tempo divenuti una priorità e un’emergenza politica globale. Naturalmente passare dalle parole, dai proclami, dalle definizioni degli obiettivi, ai fatti concreti è come sempre estremamente difficile. In questo caso la difficoltà maggiore riguarda la grandezza dell’argomento che è veramente globale: non sarà sufficiente che una parte delle Nazioni si impegni se le rimanenti non lo faranno.

Intendiamoci, più le singole Nazioni si impegneranno più avranno benefici economici diretti e indiretti assolutamente rilevanti, come riportato ormai da decine e decine di studi internazionali: minori importazioni di fossili, riduzione delle bollette sia civili che industriali, maggiore autonomia energetica e quindi politica, minori costi sanitari derivanti dall’aria inquinata (ricordiamoci i 90mila morti all’anno solamente in Italia), sviluppo di filiere industriali che potranno esportare, maggiore efficienza e produttività, maggiore tutela del territorio con i suoi valori turistici/culturali, etc. Pertanto, a prescindere, è questa la strada giusta da seguire anche e soprattutto per l’Italia, cronicamente energeticamente dipendente da altri. Ecco quindi l’assoluta necessità di adoperarsi con azioni rivolte alle semplificazioni nelle procedure autorizzative per le FER, comprendendo anche una svolta nei rapporti con il comparto ambientale/culturale con il superamento dei tanti dinieghi delle relative sovritendenze.

Su questo delicato tema, un’informazione dobbiamo trasmettere con chiarezza agli Italiani: parlando di Fonti Rinnovabili, se scegliamo di ostacolare i medi/grandi impianti, pagheremo il doppio. Infatti, molto banalmente, i piccoli impianti hanno un rapporto costo/potenza molto superiore (almeno il doppio). Anche qui intendiamoci bene, io stesso sono tra i principali promotori, assieme a tutto il M5S, delle Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e dalla loro nascita non passa giorno in cui non mi spenda per supportarle e svilupparle. Le CER si concretizzeranno sicuramente con migliaia e migliaia di piccoli e medi impianti, ma realisticamente da soli non potranno interamente realizzare la Transizione Energetica in Italia semplicemente perché la quantità di potenza installata che ci serve è molta elevata Ecco quindi un altro motivo per cui mi spendo a favore di impianti dimensionalmente più grandi: da un lato gli eolici, anche offshore, e dall’altro il fotovoltaico a terra, sia nella sua modalità “classica” che nella “nuova” modalità “Agrivoltaica”, la quale, a fronte sempre di un costo/potenza maggiore, offre però la continuità dell’attività agricola sottostante.

Altro problema estremamente delicato è quello del metano, il “veicolo ponte”, lo strumento che deve “accompagnarci” verso le rinnovabili… Peccato che, come recentissimamente sottolineato niente di meno che dalla UE e dalle Nazioni Unite tramite il Globan Methane Pledge, è proprio il metano il principale gas a effetto serra da ridurre nel breve periodo per rallentare il riscaldamento globale. Insomma, vanno drasticamente ridotte tutte le perdite, quelle che avvengono nell’intero pianeta, nell’intera filiera produttiva/distributiva, come accade persino in Italia anche dai nostri “campioni” nazionali, e che sono uno schiaffo all’ambiente in primis, ma anche al portafoglio, dal momento che sono puri e semplici sprechi di materia prima che cittadini e aziende pagano a caro prezzo. È per questo che come parlamentare sostengo il principio di far pagare chi inquina (e il gruppo M5S ha depositato una mozione per escludere dalla tassonomia europea gas e nucleare), come cittadino, invece, spero che le aziende capiscano che limitando gli sprechi semplicemente guadagneranno di più e intraprendano quindi interventi di efficientamento.

Ma come dicevo, il riscaldamento globale lo si può combattere solo con un cambiamento globale. Ecco quindi che ritorna centrale il tema di una corretta fiscalità ambientale che, se non eseguita internamente dai singoli Stati, deve essere eseguita alle frontiere, tramite la ormai conosciutissima border carbon tax o un meccanismo equivalente. Dopo più di un decennio di discussione, l’UE ha inserito, all’interno del pacchetto “Fit for 55” la CBAM, e questo è un passo in avanti, ma che ritengo ancora decisamente insufficiente, sia perché partirà tra diversi anni sia perché verrà applicato molto parzialmente, cioè non riguarderà affatto tutti i prodotti/servizi che ci arrivano dall’estero. Estremamente importanti in tal senso le recentissime dichiarazioni di Angela Merkel e di Ursula Von der Leyen sulla necessità impellente di “dare il giusto prezzo alle emissioni di CO2”.

Vorrei anche ribadire come questo influenzi pesantemente anche la narrativa e la coscienza di molti sulla realtà europea. Molte volte, infatti, si riporta il dato che “l’UE emette l’8%” dei gas climalteranti; cosa tecnicamente corretta, ma assolutamente fuorviante, se non si completa l’informazione dicendo che questa consistenza deriva semplicemente dal fatto che “abbiamo delocalizzato una quantità enorme di produzioni all’estero”. Si tratta di produzioni che in realtà servono proprio il mercato europeo, e quindi altro che 8%, l’UE è responsabile di una quota di GHG di gran lunga superiore.

Al recente G20 la politica internazionale ha cercato di proseguire con la sua (lenta) marcia nella definizione delle politiche future, ma di concreto non c’è stato molto, oltre allo stop (finalmente!) ai finanziamenti pubblici alle centrali a carbone e all’impegno sui “mille miliardi di alberi” (che però non mi risulta essere né obbligatorio né avere fondi specifici per la sua realizzazione). Strategico sarà invece onorare l’impegno di aiutare economicamente le Nazioni povere ad adottare da subito le migliori tecnologie energetiche (dò per scontato che ormai tutti sappiano che il 75-80% dei gas climalteranti proviene dalla filiera energetica). E sintomatiche sono le dichiarazioni dell’India sul 2070.

Chiudo con un argomento ancora parzialmente “tabù” e comunque sicuramente troppo sottaciuto: la finanza. La grande finanza internazionale da un lato dice di essere cosciente del problema, ma dall’altro continua a speculare ottenendo enormi guadagni sulle spalle del resto del pianeta. Sicuramente la politica deve e dovrà fare molto di più, oltre al recentissimo accordo sulla tassazione minima finalmente raggiunto per combattere il fenomeno dei c.d. “paradisi fiscali”. 

Ma io voglio ricordare ad ogni cittadino “normale” che anch’egli può fare eccome la sua parte: le banche, infatti, si reggono in buona parte sui risparmi privati, per cui fa un’enorme differenza affidarli ad un circuito vizioso, speculativo, rapace, che usa tale denaro moltiplicandolo “virtualmente” di 500 volte col meccanismo delle “leve finanziarie” per poter “giocare in borsa”, o viceversa affidarlo al circuito della finanza etica, che lo userà solo per sviluppare progetti ambientalmente e socialmente virtuosi… informatevi e fate la vostra scelta.

La COP 26 è iniziata. Mi auguro che non si perda altro tempo, che non si procrastini ancora e che la Conferenza possa chiudersi almeno con una certezza: la volontà condivisa di rendere vincolante l’impegno di abbassare la temperatura di 1,5°C entro il 2050 raggiungendo la neutralità climatica. Agire ora è un nostro dovere.

di Gianni Pietro Girotto – Presidente Commissione Industria Commercio Turismo al Senato