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Il collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale è davvero inevitabile?

Ghiacciaio Thwaites: il gigante antartico è instabile ma non collasserà
Foto di Eknbg da Pixabay

Nuove analisi da immagini satellitari sul ritmo del collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale

(Rinnovabili.it) – Il collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale non è inevitabile. I fattori che lo possono determinare interagiscono in maniera complessa. E nuove osservazioni rivelano che alcune delle dinamiche che farebbero scivolare in mare quell’immensa massa di ghiaccio stanno in realtà rallentando.

La perdita totale e inarrestabile della parte oggi più instabile dello scudo glaciale del Polo Sud è uno dei tipping point più temuti e anche più vicini. Se la parte di ghiaccio sospesa sul mare si sciogliesse a ritmo accelerato e non fosse più in grado di trattenere le lingue ghiacciate sulla terraferma, in acqua finirebbe un volume di ghiaccio tale da far alzare i mari in tutto il Pianeta di almeno 3 metri. L’intero processo non sarebbe comunque immediato perché durerebbe secoli. Ma stravolgerebbe il Pianeta e costringerebbe l’uomo a sforzi di adattamento supplementari.

Secondo uno studio del Potsdam Institute pubblicato lo scorso settembre, il collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale sarebbe un punto di non ritorno innescato già da un riscaldamento globale di 1,5°C. Valore che oggi è ormai virtualmente impossibile da evitare, come spiega l’Assessment Report 6 del Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici pubblicato tra 2021 e 2022.

Valutazioni che fanno temere il peggio alla comunità scientifica, attenta in particolare alla sorte di due ghiacciai come Thwaites e Pine Island. Il primo ha una dimensione di 600 x 120 km, equivalente a Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna messi insieme. Da solo, già oggi contribuisce per il 4% all’innalzamento globale del mare. Pine Island, avvertiva uno studio del 2021, dal 2017 ha aumentato il ritmo di scivolamento verso il mare del 12%.

Ripensare il collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale

Controcorrente rispetto alla versione più accreditata del collasso dei ghiacciai dell’Antartide occidentale va un nuovo studio, pubblicato di recente su Nature Communications. I ricercatori dell’università di Edimburgo hanno analizzato il ritmo con cui i ghiacciai terrestri si ritirano e con cui la parte di scudo che si trova in mare si fonde, basandosi su rilevazioni satellitari, tra il 2003 e il 2015. Mentre in alcune regioni si vede effettivamente un’accelerazione, in altre -come il mare di Amundsen- c’è un rallentamento. Che gli autori attribuiscono all’interazione tra scudo glaciale e i cambiamenti delle temperature marine causati dai venti. La loro intensità e la direzione, variando, fa affluire acqua più calda o più fredda verso la calotta glaciale.

Ma non è chiaro come il riscaldamento globale possa influenzare -e se l’influenza è univoca- il comportamento di questi venti. Prima di considerare inevitabile il distacco graduale ma irrefrenabile dell’Antartide occidentale, quindi, occorrerebbe una conoscenza più precisa di queste dinamiche e della loro interazione.

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