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Il collasso dell’Amazzonia non è dietro l’angolo. Le previsioni sull’innesco imminente di un “tipping point” per la foresta pluviale più estesa del Pianeta si basano su modelli troppo semplici. La deforestazione, da sola, non basta a degradare l’ecosistema amazzonico per mancanza di pioggia fino al punto di non ritorno.
Lo sostiene uno studio del Max Planck Institute for Meteorology, in totale controtendenza rispetto alle pubblicazioni più recenti. Usando un modello atmosferico globale ad alta risoluzione (ICON), i ricercatori hanno scoperto che, nonostante la drastica riduzione dell’evapotraspirazione dovuta alla perdita di vegetazione, le piogge annuali rimarrebbero pressoché invariate.
L’idea di fondo è che la deforestazione dell’Amazzonia non causerà un collasso della foresta per mancanza di precipitazioni. Il contrario di ciò che sostengono molti studi recenti.
Un problema di modelli?
Gli studi pubblicati negli ultimi anni vanno più o meno tutti nella stessa direzione. Meno alberi, meno evapotraspirazione, meno vapore acqueo sopra l’Amazzonia. E quindi meno pioggia. In un circolo vizioso, ciò aumenta il degrado della foresta e porta a fenomeni locali di forte stress fino al punto in cui l’ecosistema non riesce a riprendersi. Il destino dell’Amazzonia, dunque, sarebbe trasformarsi progressivamente in savana.
Tutti questi studi hanno un problema, sostengono i ricercatori dell’istituto tedesco: usano modelli previsionali che non rappresentano in modo realistico i processi atmosferici locali. Stimano una riduzione media delle precipitazioni del 18% (1,05 mm/giorno) in caso di deforestazione totale. Ma non riescono a catturare la capacità della circolazione atmosferica di adattarsi ai cambiamenti.
Cosa che invece riuscirebbe a fare l’ICON. Un modello globale con alta risoluzione (5 km) che riduce molto le semplificazioni incorporate nei modelli precedenti. Risultato? Anche simulando la completa deforestazione della foresta per 3 anni, la media annuale delle precipitazioni subisce solo una riduzione del 4% (0,27 mm/giorno).
Nessun collasso dell’Amazzonia in vista
Il nuovo modello riuscirebbe a dar meglio conto di alcune dinamiche che compensano l’impatto della deforestazione e allontanano molto il rischio di collasso dell’Amazzonia. La principale è il maggiore trasporto di umidità dai venti oceanici a circa 3 km di altitudine (700 hPa). Che riesce a compensare quasi del tutto la perdita locale di evapotraspirazione.
Ciò che cambia, invece, è soprattutto la distribuzione delle piogge durante le stagioni. Durante la stagione secca (luglio-settembre), le precipitazioni diminuiscono nel sud dell’Amazzonia ma aumentano nel nord. Durante la stagione umida (dicembre-febbraio), accade l’opposto. Cambiamenti che hanno comunque un impatto su ecosistemi e società umane. Ma non prefigurano un collasso dell’Amazzonia.