Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements
di Alice Baronetti e Antonello Provenzale
Negli ultimi decenni, la scarsità di precipitazioni e le temperature elevate hanno contribuito a portare l’attenzione sugli impatti socio-economici e ambientali degli eventi siccitosi, ormai non più localizzati soltanto in aree geografiche costantemente afflitte da carenza idrica. La particolare posizione geografica del Nord Italia, delimitata dalle Alpi a settentrione e dall’Appennino Tosco-Emiliano a sud, rende la regione tradizionalmente ricca di risorse idriche. Tuttavia, proprio qui nel 2003, 2012, 2017 e 2019 diversi episodi di siccità hanno portato all’eccezionale prolungarsi dei periodi di magra del Po. Da quanto è emerso dall’analisi della Coldiretti, nel Nord Italia la siccità del 2017 è costata circa 2 miliardi di euro in danni all’agricoltura, riducendo i raccolti delle principali produzioni di ortaggi, frutta, cereali, uva e fieno per l’alimentazione degli animali e per la produzione di latte.
Recentemente, l’Università di Torino e l’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Consiglio Nazionale delle Ricerche hanno analizzato le caratteristiche delle siccità in Nord Italia. Sono stati identificati i principali eventi di siccità in termini di durata, intensità e percentuale di area coinvolta nel periodo attuale (1965-2017) e nelle proiezioni per l’immediato futuro (2021-2050) e il lontano futuro (2071-2100). Le analisi delle condizioni attuali hanno utilizzato i dati di precipitazione e temperatura giornaliera registrati da una rete di stazioni meteorologiche a terra. Per le proiezioni future, invece, sono stati confrontati i risultati di 12 modelli climatici regionali (prodotti dai progetti Euro-CORDEX e Med-CORDEX), considerando due diversi possibili scenari di emissioni di gas serra: RCP 4.5 (significativa mitigazione – messa in atto di alcune iniziative per controllare le emissioni) e RCP 8.5 (nessuna mitigazione – crescita delle emissioni ai ritmi attuali).
I dati mostrano che fra il 1965 e il 2017 si sono verificati nove eventi principali di siccità in Nord Italia, ma solo a partire dall’inverno del 1983 sono stati registrati episodi con durata di almeno 15 settimane. Con l’inizio degli anni 2000 gli eventi sono diventati ancora più frequenti ed estesi; tra i più rilevanti troviamo gli episodi del 2003 (35 settimane e 58% di area coinvolta), del 2012 (47 settimane ed un’estensione fino al 75% di area coinvolta) e del 2017 (34 settimane e 46% dell’area totale colpita dalla siccità).
I fattori scatenanti di questi episodi siccitosi sono legati a diversi meccanismi, che sono cambiati nel corso degli anni. Nei primi anni 2000, infatti, si è verificata una transizione importante. Prima, gli eventi siccitosi erano scatenati soprattutto da un’evapotraspirazione (dal suolo e dalla vegetazione) al di sopra della norma, associata a temperature sopra la media. Successivamente, le siccità sono invece state generate soprattutto da un cambiamento nella distribuzione temporale delle precipitazioni. Negli ultimi 20 anni, infatti, si sono spesso alternati eventi di precipitazione molto intensa intervallati da periodi secchi sempre più lunghi.
Inoltre, fino ai primi anni 2000 gli eventi siccitosi hanno seguito prevalentemente un’evoluzione da est verso ovest. Episodio principe è quello dell’estate 2003 – primavera 2004, generato per effetto dall’estendersi di un’area anticiclonica di origine africana in corrispondenza delle regioni del Friuli-Venezia-Giulia e Veneto orientale. L’evoluzione dell’evento può essere ricondotta alle caratteristiche della circolazione atmosferica sull’Atlantico. Nel mese di agosto 2003, vi è stato un calo della pressione atmosferica nell’Oceano Atlantico e l’anticiclone africano è diventato più intenso, sottoponendo il bacino del Mediterraneo a frequenti impulsi di aria sahariana calda e secca. Negli ultimi mesi del 2003 ed i primi mesi del 2004 la siccità si è propagata verso est, raggiungendo il suo culmine a febbraio 2004 con 80% del territorio del Nord Italia coinvolto. In questo periodo, le temperature massime e minime sono di 4°C superiori alla media e la forte evaporazione generata da queste condizioni calde ha giocato il ruolo principale come fattore scatenante della siccità. Il rapporto del Joint Research Centre della Commissione UE indica che l’episodio di siccità del 2003 non è stato circoscritto al solo Nord Italia, ma ha interessato diversi stati europei come la Spagna settentrionale, la Francia, la Germania, l’Ungheria e la Repubblica Ceca.
Successivamente agli anni 2000, invece, gli eventi spesso presentano un’evoluzione spaziale da sud verso nord. Un episodio caratteristico, e di particolare intensità, è quello che si è verificato nell’inverno 2011 – autunno 2012. Nel mese di dicembre, una forte riduzione delle precipitazioni, associata a un leggero incremento della evapotraspirazione, ha portato a eventi di siccità in corrispondenza dell’Appennino Tosco-Emiliano. L’anomalia delle precipitazioni è poi continuata fino alla primavera del 2012 e la siccità si è propagata verso nord, raggiungendo la sua massima estensione a marzo 2012, con il 75% del territorio del Nord Italia coinvolto. Per tutta la durata dell’evento, l’arco alpino ha registrato soltanto una leggera riduzione delle precipitazioni, in linea con l’assenza di siccità in Nord Europa. Il report dall’Osservatorio Europeo della Siccità (EDO) rivela che questo episodio ha colpito prevalentemente la Penisola Iberica, il Sud della Francia ed il Nord Italia. L’evoluzione di questa siccità, infatti, è stata regolata dalle caratteristiche della circolazione atmosferica sul Mediterraneo occidentale, che ha generato una zona di alta pressione nel Mediterraneo causando scarsa piovosità, con conseguente siccità, nell’Europa meridionale.
Da quanto discusso finora, risulta evidente che le condizioni di siccità non colpiscono in modo omogeneo l’intero territorio di una regione. Per esempio, nel periodo 1965-2017 l’arco alpino, e nello specifico la zona delle Alpi occidentali, ha mostrato una maggiore sensibilità all’incremento della siccità rispetto alle aree circostanti. In linea con questa tendenza, sappiamo che le temperature registrate sulle Alpi sono cresciute di circa 2°C negli ultimi cento anni, ovvero circa il doppio della media globale. Ancora una volta, vediamo che gli impatti e gli effetti dei cambiamenti climatici mostrano una forte variabilità geografica.
Le proiezioni future indicano, purtroppo, che l’aumento di condizioni siccitose continuerà anche nei prossimi decenni, per l’interno territorio del Nord Italia. Nell’immediato futuro (2021-2050), la frequenza attesa di eventi siccitosi si prospetta sostanzialmente invariata, ma nello scenario RCP 4.5 si stima comunque un incremento del 5% dell’estensione geografica della siccità ed eventi in media più lunghi del 10%. Una condizione di maggiore criticità è attesa invece per gli ultimi 30 anni del XXI secolo, con un significativo incremento della frequenza, dell’estensione e della durata degli eventi di siccità anche in Nord Italia. Nello scenario RCP 8.5, per esempio, ovvero nella condizione in cui nessuna strategia di mitigazione venisse adottata, l’intero territorio del Nord Italia, ed in particolari le Alpi, potrebbe essere coinvolto da un forte aumento nella severità delle siccità. Il quinto report dell’IPCC, in particolare, ha posto l’accento sul territorio alpino, indicandolo come una delle quattro regioni europee maggiormente vulnerabili al cambiamento climatico. La temperatura nelle Alpi è destinata infatti a crescere ulteriormente prima della fine del secolo, con impatti negativi sul volume dei ghiacciai e un’accelerazione del generale processo di deglaciazione delle Alpi, innescando problematiche serie sulla disponibilità e sulla gestione delle risorse idriche e favorendo possibili modifiche nei flussi di carbonio fra suolo, vegetazione e atmosfera.
di Alice Baronetti e Antonello Provenzale – Istituto di Geoscienze e Georisorse – CNR, Pisa