A rischio la base della dieta di 3,2 miliardi di persone
(Rinnovabili.it) – Il 90% del cibo che ricaviamo dal mare è a rischio a causa del cambiamento del clima e dell’ambiente innescato dall’uomo. Una minaccia “sostanziale” che riguarda direttamente quasi metà dell’umanità, i 3,2 miliardi di persone per cui il “cibo blu” è alla base della dieta quotidiana. Lo sostiene uno studio appena apparso su Nature Sustainability.
Per cibo blu si intende una grande varietà di animali e vegetali che prosperano in ambiente marino, tra cui 2.190 specie di pesci, crostacei, piante e alghe. Lo studio ha individuato una serie di fattori di stress principali e ha indagato qual è il loro impatto sulle diverse specie e nelle diverse aree geografiche sia per quanto riguarda la quantità che la qualità del cibo blu.
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A livello globale, la pesca di cattura ha una vulnerabilità maggiore rispetto all’acquacoltura. La pesca marina, in particolare la pesca artigianale mista e quella commerciale a strascico, è la più vulnerabile, soprattutto a causa del mercurio, dell’acidificazione dei mari e del riscaldamento globale. Al contrario, la maricoltura delle alghe, che rappresenta oltre il 99,5% della produzione globale di alghe, è risultata la meno vulnerabile, dimostrando “il suo eccezionale potenziale di mitigazione e adattamento ai disturbi ambientali”.
Tra tutti i fattori di stress, l’ipossia ha gli impatti più ampi quando in associazione con gli effetti dell’aumento della temperatura dell’acqua e dell’aumento dell’inquinamento da nutrienti. La contaminazione da mercurio è invece il fattore di stress più pervasivo che ha creato le maggiori vulnerabilità in tutte le tipologie di cibo blu considerate dallo studio.
Quali sono i paesi che saranno più impattati da un eventuale declino delle risorse alimentari marine? Lo studio analizza 222 paesi e territori e li divide in quattro gruppi di rischio. In quello dove il pericolo è maggiore si trovano alcuni dei massimi produttori mondiali di cibo blu come Cina, India, Vietnam, Norvegia e Stati Uniti.