Una ricerca dell’Accademia delle Scienze di Pechino lancia l’allarme: gli episodi di caldo estremo quadruplicheranno entro il secolo.
(Rinnovabili.it) – Nell’emisfero settentrionale, il numero di giorni estremamente potrebbe mettere a rischio il 90% della popolazione globale. Non solo, ciò potrebbe avvenire anche se le emissioni fossero ridotte per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Questo è quanto emerge da una ricerca svolta dall’Accademia di Scienze di Pechino, in cui un team di esperti ha analizzato, a partire dal 1960, i dati sugli episodi di caldo estremo nell’emisfero settentrionale.
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I cosiddetti periodi di caldo estremo, cicli di 24 ore in cui le temperature diurne e notturne rimangono eccezionalmente elevate, rappresentano un rischio significativo per la salute umana, in quanto il corpo non ha la possibilità di rinfrescarsi dopo il tramonto del sole. Analizzando gli andamenti delle temperature, i ricercatori hanno trovato una chiara tendenza al rialzo della frequenza e dell’intensità di giorni e notti di caldo estremo, definiti come periodi in cui la temperatura più alta e quella più bassa sono del 10% superiori rispetto a quelle registrate nell’arco di tempo che va dal 1960 al 2012.
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Inoltre, anche se le emissioni di gas serra si allineassero agli obiettivi dell’accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 1,5° C, il team ha scoperto che i periodi di 24 ore di caldo estremo potrebbero comunque quadruplicare entro il 2100. Solo nell’ultimo decennio, circa 19,5 miliardi di persone sono state esposte al caldo estremo. Agli eventi atmosferici, inoltre, va aggiunto l’impatto del cosiddetto effetto Urban Heat Island, che si verifica quando parchi, dighe e laghi di raffreddamento vengono sostituiti da cemento e asfalto, rendendo le città più calde. Entro il 2050, le Nazioni Unite prevedono che i 2/3 della popolazione vivrà nelle città.
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“Questi episodi di caldo estremo sono particolarmente dannosi per la salute, perché lasciano poche possibilità alle persone di riprendersi dalle temperature diurne grazie al raffreddamento della notte, che non invece non si verifica”, hanno affermato gli autori dello studio, pubblicato su Nature Communications.