Il servizio europeo di monitoraggio satellitare Copernicus registra anche per quest’anno durata ed estensione distanti dalla media del 1979-2019. Come già successo nel 2020 e nel 2021. Ancora incerti i motivi dietro questo comportamento anormale
L’esplosione del vulcano alle isole Tonga è tra le ipotesi avanzate per spiegare la persistenza del buco dell’ozono nel 2022
(Rinnovabili.it) – Per il terzo anno di fila, il buco dell’ozono sopra l’Antartide si sta chiudendo ben più avanti nell’anno ed è più esteso del normale. Di solito si apre durante la primavera australe, a settembre, e inizia a richiudersi nel mese di ottobre.
Il buco dell’ozono nel 2022
Quest’anno, così come già successo nel 2021 e nel 2020, lo squarcio nel sottile strato di ozono che circonda il Pianeta ha continuato a essere presente anche a novembre e si sta chiudendo solo in questi giorni, a metà dicembre. Nel 2020 era stato il più longevo di sempre arrivando fino al 28 dicembre, l’anno dopo si era chiuso il 23. L’estensione è stata sempre oltre i 15 milioni di km2 a novembre in tutti e tre gli anni.
Anomalie e punti interrogativi
Un comportamento, quello del buco dell’ozono in questo inizio di decennio, che è molto distante da quello registrato nei 40 anni precedenti. Il motivo? Non è ancora chiaro, fa sapere il sistema europeo di monitoraggio satellitare Copernicus. Potrebbe avere a che fare con una variazione nelle dinamiche della stratosfera in corrispondenza dell’Antartide. Per quest’anno potrebbe anche avere avuto un ruolo l’esplosione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai alle isole Tonga, avvenuta il 15 gennaio.
Fino alla fine di settembre, l’andamento sembrava piuttosto regolare. L’apertura si è verificata nella seconda metà di settembre per toccare il picco di ampiezza poco dopo, a fine mese. Con pochi giorni di ritardo rispetto alla media del periodo 1979-2019.
L’altra tendenza particolare osservata da Copernicus riguarda l’ampiezza. Ci sono segnali che garantiscono il miglioramento dello strato di ozono negli ultimi anni, soprattutto grazie ad accordi internazionali come il Protocollo di Montreal e l’emendamento di Kigali, che hanno fissato un percorso di phase out per le sostanze più dannose per l’ozono usate dall’industria. E tuttavia, “cinque dei 15 anni più estesi si sono verificati negli anni 2010, quattro negli anni 2000, ma tutti e tre gli anni 2020 sono entrati nell’elenco degli anni più estesi per il buco dell’ozono”, sottolinea il servizio europeo. Quest’anno il buco è al 12° posto, nel 2021 era all’8° e nel 2020 era al 10°.