La moria delle colonie di polipi ha provocato in 70 anni un crollo dei servizi ecosistemici del 50%, mentre la biodiversità di pesci e organismi marini che popolano questi ecosistemi è calata del 60%
Uno studio fa il punto sul collasso delle barriere coralline
(Rinnovabili.it) – Il surriscaldamento degli oceani, motore di vere e proprie ondate di calore marine. La crescita dell’inquinamento. Decenni di pesca insostenibile. Distruzione degli habitat naturali provocata da eventi estremi come gli uragani. Sono le cause principali dietro la moria di coralli in tutto il mondo che ha numeri da capogiro. Dagli anni ’50 a oggi, è morto il 50% delle barriere coralline del Pianeta. Un collasso epocale, per questi ecosistemi marini tra i più fragili, che ha nel riscaldamento globale provocato dall’uomo una delle cause maggiori.
I reef corallini sono in pericolo in tutto il mondo. Lo sbiancamento dei coralli, un fenomeno legato all’esposizione prolungata delle colonie di polipi a calore eccessivo noto anche come coral bleaching, è particolarmente acuto lungo le coste di Papua Nuova Guinea, Giamaica e Belize. Lo rivela il primo studio globale sul tema pubblicato sulla rivista One Earth. Il lavoro si basa su oltre 14mila report sullo stato di salute delle barriere coralline del Pianeta sparse in 87 paesi, a partire dalla fine degli anni ’50.
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La moria di settori delle barriere coralline globali comporta anche un declino dei “servizi ecosistemici” che forniscono all’uomo, anche questi ridotti del 50%. “Abbiamo derivato stime globali dei servizi ecosistemici chiave forniti dalle barriere coralline: catture di pesci associati alla barriera corallina, abbondanza di pesci associati alla barriera corallina, biodiversità associata alla barriera corallina e consumo di pesci associati alla barriera corallina da parte dei popoli indigeni”, entrano nel dettaglio gli autori.
Peggio ancora i numeri della biodiversità: nell’arco di nemmeno 70 anni, il numero di specie di pesci e organismi marini che popolano i coral reef sono calati del 60%. Una tendenza che, anche se non più alimentata da fattori come la pesca eccessiva (il picco l’abbiamo raggiunto nel 1971, poi i prelievi di pesce dagli ecosistemi costieri dei reef è calato), è ancora alimentata dal cambiamento climatico.
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Un dato che dà allo studio una sfumatura pessimista per il futuro. Il riscaldamento globale, specie quello degli oceani, è in aumento. L’ultimo aggiornamento del rapporto IPCC sul cambiamento climatico sottolinea che proprio fenomeni legati alle distese marine innescati dall’impatto dell’uomo continueranno per secoli, in alcuni casi anche per millenni, anche se azzerassimo ora le emissioni di gas climalteranti. L’aumento della temperatura delle acque marine è tra questi e rappresenta una minaccia esistenziale per tutte le colonie coralline del mondo. Minaccia da cui non ci si può difendere soltanto istituendo delle aree protette.