E’ virtualmente certo che avremo un aumento temperatura di 1,5 gradi almeno temporaneo
(Rinnovabili.it) – L’Accordo di Parigi del 2015 prevede che tutte le nazioni che fanno parte della Convenzione Quadro dell’ONU sul Cambiamento Climatico (UNFCCC) si impegnino per mantenere la temperatura globale “ben al di sotto dei 2°C sui livelli pre-industriali e si sforzino di limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sui livelli pre-industriali”. Che cosa significa evitare un aumento della temperatura di 1,5 gradi? Chi ha stabilito questo valore e perché? Quando lo supereremo, con i livelli di emissioni attuali? E cosa succede se lo superiamo? Facciamo chiarezza su un punto cruciale per l’azione climatica globale.
Cosa significa un aumento della temperatura di 1,5 gradi?
Convenzionalmente, la scienza del clima prende come punto di riferimento per calcolare l’aumento della temperatura globale la temperatura media sul Pianeta durante la seconda metà dell’Ottocento (1850-1900). È questa finestra quella a cui si riferisce l’espressione “livelli pre-industriali”. Dopo quella data, infatti, si è verificato il maggior incremento e accumulo di emissioni di gas serra in atmosfera, nonostante l’era industriale per come la intendiamo comunemente fosse iniziata un secolo prima.
Il livello di aumento della temperatura attuale, a livello globale, è di +1,1-+1,2°C. Spesso, però, le anomalie termiche vengono espresse con altre scale di riferimento e c’è il rischio di fare confusione. L’estate 2022 è stata la più calda mai registrata in Europa con +1,4°C, ma rispetto alla media del periodo 1991-2020, cioè gli ultimi 30 anni. Allo stesso modo, l’anno scorso l’Italia è stata 1,15 gradi più calda del ’91-’20, ma rispetto ai livelli pre-industriali è stata oltre 3,5 gradi più calda. In Europa, infatti, il riscaldamento globale aumenta a un ritmo doppio rispetto a quello globale. Molte altre scale di riferimento sono usate comunemente dalle diverse istituzioni scientifiche che monitorano l’andamento del clima.
Qui sotto i grafici illustrano l’andamento dell’anomalia termica in Europa e in Italia rispetto al periodo 1971-2000: su questa scala abbiamo già superato ampiamente i 2 gradi.
Come è nato l’obiettivo dei 2°C?
La scelta di fissare la soglia di aumento della temperatura a 1,5 gradi deriva dalle evidenze raccolte e analizzate dalla scienza del clima. È importante comprendere che non si tratta di un limite “fisso”, uno spartiacque con un prima e un dopo ben distinti. Si tratta, invece, anche in questo caso di un valore convenzionale. Ma non scelto a caso.
Per capire perché occorre fare un passo indietro fino al 2009. Siamo a Copenhagen durante la Cop15. Il vertice internazionale sul clima si chiude con l’impegno, da parte di tutti i paesi, a sforzarsi di mantenere la temperatura globale sotto i 2°C. L’anno successivo, alla conferenza di Cancun, questo obiettivo viene ribadito e fatto proprio dalla politica. La soglia di 2 gradi diventa quindi l’obiettivo climatico di lungo periodo per tutti i paesi membri dell’UNFCCC.
Il numero deriva da una serie di studi scientifici e su di esso c’è stata una forte convergenza della comunità scientifica. Con un riscaldamento globale di oltre 2°C, sostengono tutti questi studi, il Pianeta entrerebbe in un territorio inesplorato, cioè si troverebbe in una condizione che non ha precedenti da quando esiste la civiltà umana. Le condizioni per la vita sulla Terra potrebbero essere inadatte a sostenere la società umana come la conosciamo, e portare quindi a sconvolgimenti su scala planetaria.
Tra i primi studi a guardare all’orizzonte dei due gradi in questi termini ci sono gli articoli di William Nordhaus, scritti negli anni ’70. L’idea che il riscaldamento globale dipendesse in modo diretto dall’aumento delle emissioni di gas serra e fosse quindi in gran parte opera dell’uomo fu rafforzata da James Hansen negli anni ’80, a partire dalla famosa testimonianza al Congresso del 1988. Hansen spiegò alla politica americana che la tendenza in atto avrebbe causato conseguenze catastrofiche. Negli anni ’90 si moltiplicarono gli studi che analizzavano le conseguenze di un global warming a 1°C, 1,5°C e 2°C, mentre prendeva forma la diplomazia climatica nella veste del processo delle Cop (la prima si tenne a Berlino nel 1995, tre anni dopo il Summit della Terra di Rio).
La diplomazia aveva bisogno di risultati, ma per avere risultati doveva mobilitare 200 paesi. Per farlo serviva un obiettivo concreto, che risultasse sia ambizioso sia a portata di mano. La soglia dei 2 gradi incarnava queste caratteristiche e rispettarla, dal punto di vista scientifico, avrebbe permesso di evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica.
Perché oggi si parla di 1,5°C e non solo di 2°C?
Subito dopo Cancun, nel 2014, l’UNFCCC lanciò un processo di revisione dell’obiettivo di 2°C per valutare se già prima di questa soglia non sarebbero avvenuti degli sconvolgimenti insostenibili. L’input venne dai paesi più vulnerabili al climate change, preoccupati per quello che la scienza del clima prevedeva per i loro territori anche rispettando l’obiettivo sul clima di lungo termine. Il processo si concluse nel 2015 e divenne la base su cui fu costruito il Paris Agreement: la soglia di sicurezza venne anticipata a 1,5°C sulla base delle nuove evidenze scientifiche disponibili. L’IPCC nel 2018 ha dedicato un rapporto specifico al clima in un mondo 1,5 gradi più caldo.
È un limite “certo”? No. La valutazione su quali siano le conseguenze accettabili dei cambiamenti climatici e quali, invece, siano quelle non accettabili, ha inevitabilmente un certo grado di soggettività. Ciò che la scienza ci dice con chiarezza, però, è come cambieranno, ai diversi stadi di global warming, alcuni dei principali elementi che determinano il sistema climatico terrestre, come l’innalzamento degli oceani, la fusione dei ghiacci, la frequenza e l’intensità degli eventi estremi, la resa agricola e la distribuzione delle terre coltivabili, la disponibilità di acqua. Per questa stessa ragione alcuni scienziati ritengono che la vera soglia di sicurezza sia quella di +1°C, già oltrepassata, sotto la quale si sarebbe ragionevolmente sicuri di non innescare effetti a catena (effetti feedback) nel clima del Pianeta.
Quando sforeremo gli 1,5°C?
Nonostante l’Accordo di Parigi, oggi la maggior parte degli studi è concorde nel ritenere che sia virtualmente impossibile evitare di superare la soglia di 1,5 gradi di riscaldamento globale. Ciò detto, è bene tenere a mente cosa significa “sforare gli 1,5 gradi” nel senso in cui ne parla il Paris Agreement. Non si tratta di superare il limite durante un singolo anno, anche più volte nell’arco di un breve periodo. Si tratta, piuttosto, di assestare la temperatura del Pianeta su una media strutturalmente superiore a 1,5 gradi, calcolata cioè sull’arco di alcuni decenni.
Viene considerato sforamento anche il superamento per alcuni decenni con la temperatura che scende di nuovo sotto 1,5 gradi dopo 30, 40 o anche 50 anni (offshoot). In base agli scenari emissivi più ottimistici elaborati dall’ultimo rapporto dell’IPCC uscito tra 2021 e 2022, avremo quasi certamente un offshoot compreso tra 1,6 e 1,8°C per alcuni decenni, anche mettendo in campo politiche ambiziose. Non adottare queste misure farebbe schizzare la colonnina di mercurio ancora più in alto, e senza la parabola discendente che caratterizza questi scenari.
Il primo caso, cioè lo sforamento sporadico, anche per un solo anno, è ormai dato per assodato. Lo studio più recente in materia arriva dall’Organizzazione meteorologica mondiale, che assegna un 66% di probabilità di sforare il limite almeno una volta entro il 2027. Per lo sforamento strutturale, negli ultimi mesi sono stati pubblicati alcuni studi interessanti che si basano sui dati forniti dall’ultimo rapporto dell’IPCC.
Secondo il Max Planck Institute for Meteorology di Amburgo, l’ipotesi più probabile è che avverrà a partire dal 2035. Una data che sposta l’overshoot verso il limite inferiore della forchetta proposta dallo stesso IPCC nello studio del 2018. All’epoca, il Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico aveva stimato una data compresa tra il 2030 e il 2052.
Nell’ultimo rapporto, lo stesso IPCC calcola che, sulla base del budget di carbonio e delle emissioni “incorporate” negli impegni ufficiali sul clima di tutti i paesi, raggiungeremo la soglia di riscaldamento globale di 1,5°C al più tardi nel 2032, fra appena 9 anni. La data del superamento varia a seconda dello scenario emissivo di riferimento, come si vede nel grafico qui sotto (il 1° scenario è ormai praticamente fuori portata). Altri studi prendono in considerazione anche altre dimensioni.
Per l’Hamburg Climate Futures Outlook, ad esempio, non sono i fattori fisici a rendere “implausibile” stare sotto un aumento temperatura 1,5°C bensì quelli sociali: la transizione e l’adattamento hanno dei costi, economici e sociali, e implicano una trasformazione profonda delle nostre società. Quanto sia difficile accettare questo passaggio lo vediamo già ora, mentre si moltiplicano i partiti e i pezzi di società che vogliono rallentare il ritmo della transizione (o che, nei casi più estremi, li additano come complotti e sfociano nel negazionismo).