La mappatura più completa dei flussi di carbonio nella regione artica stabilisce che il 34% dell’area non è più un pozzo di CO2
Il 34% dell’Artico è diventato una fonte netta di emissioni di gas serra. Dato che sale al 40% se si considerano anche le emissioni generate dagli incendi. Tundra, foreste boreali e zone umide alle latitudini estreme sono – o sono state – uno dei pozzi di carbonio più importanti del Pianeta. Ma riscaldamento globale e cambiamenti ambientali stanno modificando profondamente il loro ruolo nel sistema climatico terrestre.
“Sebbene abbiamo scoperto che molti ecosistemi del nord agiscono ancora come pozzi di anidride carbonica, le regioni di origine e gli incendi stanno ora annullando gran parte di quell’assorbimento netto e invertendo tendenze di lunga data”, spiegano gli autori dello studio, pubblicato il 21 gennaio su Nature Climate Change. Si tratta della mappatura più completa mai svolta finora sullo stato dei flussi di carbonio nell’Artico.
Gli elementi principali misurati dai ricercatori sono 3:
- l’assorbimento di anidride carbonica attraverso la fotosintesi delle piante,
- il rilascio di CO2 nell’atmosfera attraverso la respirazione microbica e vegetale,
- le emissioni aggiuntive che derivano dagli incendi.
Lo studio ha utilizzato dati provenienti da 200 siti di monitoraggio nel periodo 1990–2020. Un set di dati sui flussi di CO2 quattro volte più ampio rispetto agli studi precedenti. I flussi sono stati valutati con misurazioni sul campo, modelli di apprendimento automatico e mappatura ad alta risoluzione.
Come è cambiato l’Artico in 30 anni
L’analisi degli ultimi 30 anni fa emergere il dato più rilevante: stanno cambiando i regimi degli incendi e dell’attività microbica. Le cause? Lo studio ne identifica 3:
- Disgelo del permafrost: l’aumento delle temperature ha scongelato i terreni precedentemente ghiacciati, favorendo la decomposizione microbica e il rilascio di CO2.
- Incendi: gli incendi sempre più frequenti contribuiscono in modo significativo alle emissioni.
- Dinamiche stagionali: sebbene l’assorbimento di CO2 in estate sia aumentato (con l’aumento del greening, l’espansione a nord della vegetazione a causa del riscaldamento globale), le emissioni invernali dovute all’attività microbica sono cresciute, riducendo la capacità netta di immagazzinamento del carbonio.
Insomma: avvengono cambiamenti di segno opposto, ma il bilancio non è in pareggio. Nonostante il fenomeno del greening, spiega lo studio, solo il 12% delle aree verdi ha mostrato un aumento netto annuale nell’assorbimento di CO2. E il meccanismo di feedback del carbonio del permafrost sta accelerando: il riscaldamento globale aumenta il rilascio del carbonio immagazzinato nel suolo ghiacciato, alimentando ulteriormente l’incremento della temperatura globale.