di Vittorio Marletto
Ci troviamo da mesi in una situazione del tutto nuova e del tutto (ma non da tutti) imprevista
Per esempio Bill Gates aveva tenuto una conferenza 5 anni fa insistendo sull’impreparazione globale alle possibili pandemie, ma devo ammettere che l’ho guardata solo oggi e che colpevolmente non mi ero mai interessato molto a questo argomento fino allo scoppio del coronavirus in Italia.
D’altro canto io non sono un medico, mi occupo invece di clima, in particolare di clima e agricoltura, e su questo argomento sono abbastanza ferrato da poter affermare con certezza che non siamo affatto preparati al cambiamento climatico, e anzi che se non ci diamo da fare, tutti e subito, le cose potrebbero andare molto ma molto peggio che col coronavirus.
Tanto per capire di cosa stiamo parlando vi ricordo che le stime statistiche concordano nell’affermare che nella sola estate torrida del 2003 in Europa perirono prematuramente di caldo circa 70mila persone di cui almeno 18mila in Italia, un dato poco noto, salvo che in Francia dove la parola “canicule” (afa) genera tuttora pessimi ricordi.
Nella meno torrida ma altrettanto impressionante estate del 2012 in Emilia-Romagna ci furono ben sette successive ondate di calore il cui risultato agricolo fu la perdita di quasi tutto il mais, che costituisce in regione la principale coltura estiva in termini di superficie, con danni economici stimati da Coldiretti sul mezzo miliardo di euro.
L’accumulo in atmosfera dell’anidride carbonica estratta dalle fonti energetiche fossili utilizzate per la generazione di energia elettrica, per l’industria e per la mobilità, ci sta in effetti portando sull’orlo di un disastro di grandi proporzioni. Oggigiorno l’umanità è arrivata a utilizzare quasi cento milioni di barili di petrolio al giorno (e i consumi continuano a crescere in barba a ogni previsione di picco), poi c’è il carbone bruciato nelle oltre 2400 centrali termoelettriche globali (di cui 12 attive qui in Italia) e che da solo fa il 40% di tutte le emissioni di carbonio, e infine il gas naturale (anch’esso bruciato in grandi quantità per fare corrente e utilizzato nei riscaldamenti degli edifici).
Ci sono poi gli effetti della sconsiderata distruzione delle foreste e messa a coltura di vaste aree di terreno tropicale e, meno rilevanti anche se da tenere ben presenti, le emissioni di altri gas serra quali il metano tal quale, il protossido d’azoto ecc.
La continua eruzione verso il cielo di tutto questo carbonio fossile e degli altri gas serra sta alterando la composizione chimica e il comportamento fisico dell’atmosfera terrestre. I dati a nostra disposizione ci dicono che l’attuale livello di carbonio in aria non si era mai visto negli ultimi 3 milioni di anni e che le temperature globali stanno crescendo vertiginosamente a causa di questo livello di gas serra.
Localmente la crescita termica può essere anche molto più intensa di quella media globale come dimostra l’impennata delle temperature nell’artico, che sta conducendo alla drastica diminuzione in superficie e volume dei ghiacci galleggianti (con un effetto sinergico dovuto all’ulteriore assorbimento di luce solare nel mare glaciale, sempre meno fedele al suo nome) e alla veloce fusione della spessa calotta che ricopre buona parte della Groenlandia.
Con il caldo crescente stiamo anche dando l’addio ai ghiacciai alpini; di conseguenza il mare sale e una quota delle recenti vicissitudini veneziane è senz’altro riconducibile all’incremento del livello marino.
Se non mettiamo mano a queste dannate e dannose emissioni rischiamo di vederle arrivare a livelli da Giurassico, così come le temperature della terra con esse.
A temperature medie globali crescenti corrispondono sempre maggiori danni alle coltivazioni da siccità, calore, eventi estremi, malattie e parassiti opportunisti (per esempio il gran caldo del 2012 favorì lo sviluppo di funghi tossici sulle piante, che le resero inutilizzabili come mangime). Di conseguenza le rese unitarie tendono a calare e questo non è opportuno dato il continuo incremento delle bocche da sfamare.
Tornando al coronavirus e alla pausa che ci sta costringendo a fare, sarebbe essenziale che questo tempo prezioso venisse dedicato alla definizione di una strategia efficace per uscire dalla crisi affrontando il periodo che ci aspetta con una visione diversa. L’Italia ha enormi potenziali di riduzione delle emissioni attraverso almeno tre grandi programmi forieri di lavoro e ripresa del pil, uno edilizio teso a coibentare per bene tutto il patrimonio di edifici malfatti in cui abitiamo e lavoriamo al fine di far calare drasticamente la domanda di energia per riscaldamento e raffrescamento, un secondo per la trasformazione del nostro modo di muoverci (o non muoverci) passando dal mezzo privato a quello sostenibile (una rete ciclabile all’olandese almeno per la val padana, elettrificazione completa dei mezzi di trasporto, potenziamento e tendenziale gratuità del trasporto pubblico, incentivazione del lavoro e dello studio da casa), un terzo per lo sfruttamento elettrico del sole, che quasi inutilizzato illumina inutilmente immense superfici edificate o in qualche modo cementificate da anni di consumo del suolo e che potrebbe fornirci la maggioranza della corrente che ci serve.
Se affrontati seriamente questi tre programmi ci consentirebbero di dimezzare le emissioni nazionali al 2030, il che è esattamente quel che serve per cominciare a mettere le redini al clima imbizzarrito.
Last but not least è ora di affrontare seriamente il nuovo clima nel quale comunque dobbiamo vivere rendendo la nostra agricoltura più resiliente e adatta alle caratteristiche della nuova Italia in cui abitiamo, produciamo, coltiviamo e consumiamo. Ma su questo torneremo.