Una ricerca di CabonBrief cerca di prevedere gli effetti del collasso dell’AMOC e definire il ‘punto di non ritorno’.
(Rinnovabli.it) – Il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica, abbreviato in AMOC, è un’importante corrente oceanica dell’Atlantico, caratterizzata da un flusso in direzione nord di acqua calda negli strati superficiali dell’oceano, e da un flusso in direzione sud di acqua fredda in profondità. Il suo ruolo è fondamentale nella regolazione climatica della Terra. Una ricerca di CarbonBrief, però, suggerisce che nel prossimo futuro è possibile aspettarsi un indebolimento dell’AMOC, pur essendo improbabile una sua scomparsa entro il 21° secolo. Nello specifico, il team è stato in grado di definire esattamente quale sia il “punto di non ritorno” oltre il quale la corrente potrebbe subire un collasso.
Nel Nord Atlantico, l’acqua calda viaggia verso nord sulla superficie e l’acqua fredda (quindi più salina e densa) viaggia a sud in profondità, in genere a 2-4 km dalla superficie. A nord, l’acqua calda di superficie viene raffreddata dall’atmosfera per poi ‘affondare’, invertire la sua rotta e diventare acqua fredda che viaggia verso sud. Al contempo, l’acqua fredda a poco a poco sale in superficie e viene riscaldata, invertendo la sua rotta e diventando acqua calda che viaggia verso nord. Il circuito così si chiude e si ripete a ciclo continuo.
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Tuttavia, man mano che l’atmosfera si riscalda a causa dell’aumento dei gas serra, la capacità dell’oceano di perdere calore a nord diminuisce, indebolendo così uno dei due poli del circuito. Già nel 1961, Henry Stommel, uno dei padri della moderna oceanografia, ha pubblicato uno studio in cui mostrava come l’AMOC mantenga il suo equilibrio grazie ad una sorta di competizione tra gli effetti della temperatura e della salinità, che influenzano la densità dell’acqua di mare. Nel clima odierno, però, la temperatura domina sulla salinità e sulla densità dell’acqua. Ciò significa che la salinità dell’acqua non permette al liquido di essere abbastanza denso per ‘contrastare’ gli effetti della temperatura.
A questo, inoltre, si aggiunge un altro fattore, vale a dire il flusso di acqua dolce (quindi non salina) che arriverebbe dallo scioglimento dei ghiacciai. Se i ghiacciai si sciogliessero oltre una certa misura, anche se si riuscisse a contenere (e addirittura invertire) i cambiamenti climatici, la quantità di acqua dolce nell’oceano determinerebbe comunque una rottura dell’equilibrio tra salinità e temperatura dell’AMOC.
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Ma quali sarebbero gli impatti di un collasso? L’arresto dell’AMOC provocherebbe un raffreddamento dell’intero emisfero settentrionale. In queste regioni, il raffreddamento supererebbe il riscaldamento previsto a causa dei gas serra, producendo un crollo delle temperature nell’Europa occidentale. Altri impatti includerebbero importanti cambiamenti nei modelli di precipitazione, aumenti delle tempeste invernali in Europa e un innalzamento del livello del mare fino a 50 cm attorno al bacino del Nord Atlantico.
Tuttavia, potrebbe essere possibile gestire il rischio di collasso dell’AMOC. Infatti, utilizzando dei sistemi di modellizzazione, i ricercatori hanno dimostrato che il modo in cui la salinità dell’Atlantico subtropicale e subpolare si evolve nel tempo può dare un’indicazione precoce sullo stato di salute dell’AMOC, con un anticipo di decenni prima che si raggiunga il punto di non ritorno. Bisogna però sviluppare dei sistemi di monitoraggio e, soprattutto, adottare misure di mitigazione più aggressive per portare l’AMOC su un percorso più stabile.
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