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Alluvione in Emilia Romagna, WWA: “Il climate change c’entra poco”

L’abbondanza delle precipitazioni è eccezionale, si è trattato di episodi con un tempo di ritorno di 200 anni. Ma avrebbero avuto la stessa intensità e lo stesso tempo di ritorno anche in un mondo 1,2°C più freddo di quello di oggi. Ma gli scienziati avvertono: disponiamo solo di dati a partire dagli anni ’60, una serie storica più lunga potrebbe cambiare le carte in tavola

Alluvione in Emilia Romagna, WWA: “Il climate change c’entra poco”
crediti: European Union, Copernicus Emergency Management Service data

L’analisi del World Weather Attribution sull’alluvione in Emilia Romagna

(Rinnovabili.it) – Le prime analisi statistiche dicono che la crisi climatica non ha influenzato direttamente l’alluvione in Emilia Romagna. L’impronta del riscaldamento globale di origine antropica, se c’è, è identificabile solo con serie storiche di dati meteo più lunghe di quelle che abbiamo. Mentre uno dei fattori che ha contribuito a rendere più devastante l’evento, cioè la lunga siccità che ha preceduto le piogge di maggio, è senz’altro legata al cambiamento del clima. Ma è una causa solo indiretta dell’alluvione.

A dirlo è il World Weather Attribution (WWA), il consorzio di scienziati del clima che indaga il ruolo del climate change negli eventi estremi in tutto il mondo, con analisi tempestive a pochi giorni dagli eventi stessi. Quali sono i risultati dell’analisi sugli eventi che hanno portato all’alluvione in Emilia Romagna?

Cosa dicono le analisi climatologiche sull’alluvione in Emilia Romagna?

Per prima cosa, gli scienziati hanno verificato gli accumuli di pioggia confrontando gli eventi del 2, 10 e 17 maggio con le medie storiche dei 21 giorni più piovosi tra aprile e giugno nella regione. Medie storiche ricostruite sui dati forniti da circa 60 centraline meteo sul territorio, che hanno serie che iniziano negli anni ’60. Risultato? Le precipitazioni di maggio sono l’evento più piovoso mai registrato in oltre 60 anni e ha un tempo di ritorno di 200 anni. Un evento di questa intensità, quindi, è atteso una volta ogni 200 anni: in ogni dato anno, la probabilità che si verifichi è dello 0,5%.

Si tratta quindi, con certezza, di un evento eccezionale. Ma la sua eccezionalità è legata al cambiamento climatico di origine antropica? La risposta sembra essere no. “Nei dati delle stazioni e in altre osservazioni non vi è alcuna tendenza significativa nelle precipitazioni primaverili a 21 giorni: quindi la quantità di pioggia che cade in un evento con tempo di ritorno di 200 anni oggi è la stessa di quella di un evento con tempo di ritorno di 200 anni all’inizio della serie storica”, concludono gli autori della ricerca. Il no è secco ma non definitivo: l’evento è molto, troppo raro, e per valutarlo adeguatamente servirebbero serie storiche più lunghe. Che non esistono. Resta quindi una possibilità che la crisi climatica abbia inciso.

Ulteriori analisi confermano che non c’è traccia evidente di un ruolo del climate change. Il WWA ha cercato indizi in altri vettori delle precipitazioni, come il cambiamento di uso dei suoli e le variazioni negli aerosol in atmosfera. Ma i 19 modelli climatici usati per valutare questi fattori dicono che non ci sono scostamenti evidenti tra l’evento accaduto nel clima di oggi e un evento analogo che accade in un mondo 1,2°C più freddo.

In realtà, proprio la “normalità” delle piogge intense di maggio potrebbe essere il risultato di due tendenze opposte innescate dal climate change. “Questa scoperta corrobora ricerche precedenti che hanno rilevato che con il cambiamento climatico indotto dall’uomo è diminuito il numero di sistemi di bassa pressione nel Mediterraneo centrale”, cioè quelli che hanno dato origine ai tre episodi di maggio. “Questo porta a una riduzione delle precipitazioni intense, compensando il previsto aumento delle piogge intense dovuto al riscaldamento globale” a causa dell’aumento di umidità in atmosfera.