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C’è la crisi climatica, non il cloud seeding, dietro l’alluvione di Dubai

Alluvione Dubai: c’entra davvero il cloud seeding?
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150-250 mm di pioggia in 24 ore, l’alluvione di Dubai è la peggiore almeno dal 1949

Normalmente, sull’aeroporto di Dubai – scalo internazionale tra i più trafficati al mondo – cadono 94,7 mm di pioggia in un anno. Tra il 15 e il 16 aprile ne sono scesi più di 142 in appena 24 ore. La pista così come gran parte della città si è allagata in poco tempo, la circolazione è stata interrotta, molte abitazioni e attività commerciali sono state inondate. Mentre continua la conta dei danni e iniziano le operazioni di pulizia, il governo ha annunciato una revisione completa di tutte le infrastrutture del paese per adeguarle a episodi simili, che diventeranno più frequenti in futuro a causa della crisi climatica. L’alluvione di Dubai è stato un evento estremo da record, senza precedenti almeno negli ultimi 75 anni, cioè dall’inizio delle serie storiche per gli Emirati.

Evento estremo, ma in linea con le previsioni della scienza del clima sull’intensificazione delle precipitazioni e sull’aumento di frequenza di questi episodi. Eppure anche questa volta, come già successo per altri casi analoghi recenti, la spiegazione della crisi climatica non convince tutti. Il colpevole su cui qualcuno punta il dito è il cloud seeding e le operazioni di inseminazione delle nuvole per avere “pioggia artificiale” condotte dalle autorità.

L’alluvione di Dubai non è stata causata dal cloud seeding

Questa spiegazione, come tutte le narrazioni di sapore complottista, si aggancia a qualche elemento di verità. Gli Emirati sono uno dei paesi che più fa ricorso al cloud seeding. Situato in una delle regioni più aride del pianeta dove le piogge sono molto scarse (sotto i 200 mm l’anno in media), il paese ha investito molto nell’inseminazione delle nuvole per aumentare la quantità totale delle precipitazioni. E ha condotto operazioni di questo tipo sopra Dubai nei giorni precedenti l’arrivo della perturbazione.

Ma non il giorno stesso. Lo ha spiegato Omar Al Yazeedi, vice direttore generale della NCM, il Centro nazionale di Meteorologia degli EAU: “Non abbiamo effettuato alcuna operazione di cloud seeding durante questo particolare evento meteorologico. L’essenza del cloud seeding sta nel prendere di mira le nubi in una fase precedente, prima delle precipitazioni. Impegnarsi in attività di inseminazione durante un forte temporale si rivelerebbe inutile”.

Se la spiegazione continua a non convincere molti – che preferiscono accarezzare un complotto non meglio precisato – è soprattutto perché non è sempre chiaro come funziona il cloud seeding e qual è l’effetto dell’aumento delle temperature sulle precipitazioni.

L’inseminazione non crea nuvole, può soltanto facilitare i processi che generano le piogge. Non crea “più pioggia”, fa avvenire le precipitazioni anche quando le condizioni naturali dell’atmosfera e di pressione non lo permetterebbero. Le tecniche usate sono diverse, gli Emirati usano la disseminazione delle nuvole con particelle di sali naturali. In ogni caso, la reazione fa solo condensare l’umidità che è già presente in atmosfera, non la aumenta.

Ad aumentare il tasso di umidità è invece il riscaldamento globale. Per ogni grado in più della temperatura dell’aria, l’atmosfera riesce a incamerare il 7% di umidità in più. Questo significa che temperature più alte si traducono in più pioggia potenziale. In un clima più freddo, l’alluvione di Dubai probabilmente si sarebbe verificata lo stesso – il territorio è desertico, piatto, favorisce il ruscellamento superficiale ma non facilita il deflusso in mare – ma sarebbe stata meno intensa e devastante. E’ la stessa dinamica che ha portato di recente ad altri eventi estremi molto distruttivi, come l’alluvione in Nord Europa di luglio 2021

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