Si tratta di un numero quattro volte superiore a quello dei negoziatori espressi dalla lobby dei combustibili fossili alla COP27
La maggiore trasparenza e la posta in gioco spingono la lobby dei combustibili fossili a partecipare in massa alle trattative
(Rinnovabili.it) – Mai come quest’anno la lobby dei combustibili fossili è presente a un negoziato sul clima. Il numero di delegati collegati ai produttori di carbone, gas e petrolio è quadruplicato rispetto allo scorso anno. Lo dice l’analisi pubblicata da una coalizione di organizzazioni che si battono contro la presenza di negoziatori legati al settore nella COP.
Sarebbero 2.456 i lobbisti fossili che vanno in giro per le sale della COP28 con un badge che fornisce l’accesso alle trattative. Un numero superiore di quello dei partecipanti provenienti dai 10 paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Il numero è così alto anche perché è più facile ora individuare i delegati in conflitto di interessi, dato che le regole sulla trasparenza si sono fatte più stringenti. Per fare un paragone, alla COP26 di Glasgow, c’erano circa 500 delegati con un background legato alla lobby dei combustibili fossili. In Egitto, lo scorso anno, erano diventati oltre 600.
Le ragioni del balzo in avanti in questa COP28, tuttavia, non si spiegano solo con le nuove procedure ONU. Gli attivisti sostengono che “questi negoziati dovrebbero fare progressi verso l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, e l’industria è qui per influenzare il più possibile il risultato”.
Del resto, il comparto esprime perfino la presidenza della COP. Sultan al-Jaber è infatti anche amministratore delegato di Adnoc, la compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti. E le sue dichiarazioni in merito hanno fatto il giro del mondo.
“L’enorme numero di lobbisti dei combustibili fossili presenti ai negoziati sul clima che potrebbero determinare il nostro futuro è oltre ogni giustificazione”, ha detto Joseph Sikulu, di 350.org. “La loro crescente presenza alla COP mina l’integrità del processo nel suo insieme”.
Secondo Caroline Muturi, di Ibon Africa, “non sorprende che la maggior parte delle aziende che influenzano questi colloqui provengano dal Nord del mondo. Negli anni passati le COP sono diventate una via per molte aziende per fare greenwashing delle loro attività inquinanti e per creare pericolose distrazioni dall’azione reale per il clima”.