Cambiamento climatico, strategie di sopravvivenza
La resilienza e l’adattamento a nuove realtà per resistere al cambiamento climatico sono un fattore di sopravvivenza. Soprattutto in posti dove la vulnerabilità del territorio è altissima, anche a causa della posizione geografica.
Il caso delle Isole Tuvalu
Un esempio tipico di vulnerabilità del territorio al cambiamento climatico è quello delle Isole Tuvalu, situate nell’Oceano Pacifico a metà strada tra l’Australia e le Hawaii.
Le Isole Tuvalu si estendono su una superficie di 26 Km2 e sono il Paese meno popolato al mondo dopo la Città del Vaticano. Questo piccolo paradiso terrestre, costituito da quattro isole e cinque atolli, è situato ad appena tre metri sopra il livello del mare e rischia concretamente di scomparire a causa del cambiamento climatico che causa l’innalzamento delle acque.
Un destino che sembra inesorabile, a cui il governo locale sta cercando una soluzione praticabile. Ha infatti siglato un accodo con l’Australia per il reinsediamento della popolazione e la formazione di competenze per nuovi lavori. Un altro caso di migrazione climatica, come quelli a cui si assiste in Africa.
Adattamento non è solo riduzione delle emissioni di gas serra
L’adattamento è un punto centrale nella lotta al cambiamento climatico, che non consiste solo nel ridurre le emissioni di gas serra.
Significa adattarsi a una realtà che porta cambiamenti veloci e devastanti: inondazioni, siccità, perdita dei raccolti, perdita di biodiversità, riscaldamento. Significa diventare resilienti per poter sopravvivere.
La lotta per la sopravvivenza riguarda il Pianeta e le persone che lo abitano. L’Asia meridionale è l’area più esposta agli shock climatici: in questa area del mondo quasi nove persone su dieci affrontano pericoli legati al clima, in particolare alle ondate di calore.
Un aspetto tutt’altro che secondario è che, rispetto ai paesi poveri, nei paesi ricchi è più facile far fronte agli esiti del cambiamento climatico.
Adattamento e resilienza più facili nei paesi ricchi
Prendiamo ad esempio i Paesi Bassi: un terzo del paese è sotto il livello del mare e circa due terzi della popolazione è esposta alle inondazioni.
Tuttavia, ha i mezzi per assorbire le perdite dovute alle catastrofi climatiche e le risorse per investire in infrastrutture per prevenire le inondazioni; inoltre, ha le competenze per affrontare le crisi.
Al contrario, nei paesi poveri ogni crisi aumenta il livello di vulnerabilità che va dai redditi bassi alla mancanza di accesso all’elettricità e ai servizi di protezione sociale. Stanno cominciando a costruire la loro capacità di adattamento, cercando di recuperare terreno davanti a una minaccia che diventa progressivamente più violenta e veloce.
Il riscaldamento del Pianeta sta causando estremi climatici sempre più intensi e frequenti che danneggiano la salute delle persone, le economie, gli ecosistemi e le popolazioni.
Allo stato attuale delle cose sembra che non si riuscirà a contenere la temperatura media globale entro 1,5° entro la fine del secolo: il rischio di shock climatici non potrà che aumentare.
L’esempio positivo del Bangladesh
Cosa possiamo fare per proteggere le persone e gli ecosistemi? Ridurre le emissioni di gas serra e aumentare l’adattamento e la resilienza.
Cominciamo almeno con una buona notizia: gli uomini hanno sempre affrontato disastri di ogni genere, dimostrando abilità nell’adattamento e nella resilienza.
In Bangladesh, esposto da sempre a cicloni, inondazioni e siccità, con il cambiamento climatico è aumentato il livello di rischio. Con il sostegno della Banca Mondiale ha costruito rifugi, infrastrutture stradali e reti di comunicazione che, al di fuori dell’emergenza, sono uno stimolo per sviluppare l’economia locale.
Un paio di numeri danno la misura dell’utilità di questi investimenti: nel 1970 un ciclone ha ucciso circa 300.000 persone, mentre nel 2020 ne ha uccise 20.
Analisi di vulnerabilità e sforzi di adattamento in 44 paesi
Il rapporto Rising the Challenge – Success stories and strategies for achieving climate adaptation and resilience del World Bank Group analizza la vulnerabilità e gli sforzi di adattamento di paesi con diversi livelli di sviluppo: emerge con evidenza che adattamento e resilienza sono legati allo sviluppo.
Pertanto il primo passo per l’adattamento e la resilienza è far sì che lo sviluppo sia rapido, solido e inclusivo.
Secondo il rapporto, i paesi con una buona governance che hanno già avuto esperienza di shock climatici e hanno attivato strategie di adattamento sanno affrontare meglio l’impatto dei cambiamenti climatici.
4 aree prioritarie
Poiché esistono ancora lacune da colmare, il rapporto evidenzia le quattro aree in cui i governi devono intensificare gli sforzi.
- Fornire dati e informazioni sul clima e offrire un quadro normativo chiaro e incentivi per aiutare aziende e persone ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Un esempio positivo in tal senso è il nuovo sistema di monitoraggio della siccità del Brasile: l’indicatore per la siccità consente di essere preparati a questo tipo di eventi estremi e adottare misure preventive. È fondamentale investire nell’adattamento: la Banca Mondiale stima che 1 dollaro investito nell’adattamento ne restituisce 4 in benefici.
- Protezione dei beni e servizi pubblici essenziali e adattamento dei piani di utilizzo del territorio. Proteggere le infrastrutture energetiche dovrebbe essere una priorità: i sistemi energetici sono fondamentali per proteggere le persone dagli impatti climatici come le ondate di calore. Foreste, zone umide e mangrovie sono rilevanti contro gli shock termici: proteggere questi ecosistemi pianificando l’uso del territorio protegge persone e mezzi di sostentamento dai rischi climatici.
- Aiutare le persone e le aziende a gestire i disastri naturali e i rischi residui. I governi devono far sì che le perdite si riducano al minimo e che la ripresa sia rapida. Purtroppo molti paesi non dispongono di sistemi di pianificazione efficaci per il disaster recovery né di centri di gestione delle crisi e coordinamento nelle emergenze.
- I governi devono fare di più per proteggere se stessi e le proprie economie. I 44 paesi analizzati nel rapporto sono gravemente carenti da questo punto di vista. Eppure un disastro climatico può mettere in crisi le finanze pubbliche e mettere in ginocchio l’economia. Il Senegal rappresenta un esempio virtuoso: ha preparato un “bilancio verde” per il miglioramento della gestione delle acque in agricoltura, misure di protezione dall’erosione costiera, misure per la gestione del rischio climatico, la conservazione della biodiversità e la salvaguardia del patrimonio naturale. Le Filippine, invece, hanno adottato una strategia finanziaria e assicurativa per la protezione dal rischio di disastri.