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Le acque nel reame del ghiaccio: scienza alle Isole Svalbard

Contenuto realizzato nell’ambito del progetto CNR 4 Elements

Credits: I. Baneschi e M. Doveri

di Ilaria Baneschi e Marco Doveri

I ghiacciai sono una massa di ghiaccio superficiale che scorre verso il basso sotto l’effetto della gravità. Un ghiacciaio si forma ed è mantenuto dall’accumulo di neve ad alta quota, bilanciato dalla sua fusione alle basse altitudini o dallo scarico nei laghi o il mare.

I ghiacciai sono la seconda riserva d’acqua del pianeta (coprono il 2.7% della sfera terrestre) e la più grande riserva d’acqua dolce del globo: 30 milioni di km3 di ghiaccio! Se, per assurdo (ma non ci scherziamo troppo), la totalità dei ghiacciai fondesse, il livello del mare salirebbe di oltre 68 metri. L’acqua liquida, che si forma per fusione del ghiaccio o della neve (e per eventuale contributo di piogge), nel ghiacciaio può muoversi superficialmente, all’interno del corpo del ghiacciaio e/o alla sua base, creando una rete di drenaggio glaciale che può anche unirsi in un torrente o in un fiume e continuare a muoversi in fronte al ghiacciaio nell’area che separa il ghiacciaio dal mare.

Dopo l’Antartide, la seconda maggiore massa d’acqua dolce congelata nei ghiacciai (il 20% del totale) si trova in Artico, quella regione che comprende il bacino dell’Oceano Artico, le aree settentrionali della Scandinavia, Russia, Canada, Groenlandia, e lo stato americano dell’Alaska. 

L’Artico è una regione particolarmente interessante per la ricerca scientifica sui meccanismi del cambiamento climatico perché è la regione del globo dove i cambiamenti climatici e i loro effetti sono particolarmente amplificati, con conseguenze a cascata sul clima di tutto il Pianeta e su tutte le componenti fisiche, ecologiche, antropiche dell’Artico stesso.

In Artico, negli ultimi 100 anni, l’aumento della temperatura è avvenuto ad una velocità doppia rispetto alla media globale, ma è nell’ultimo decennio che sono avvenuti i cambiamenti più drastici: un’insolita fusione dei ghiacciai, del ghiaccio marino e del permafrost, cambiamenti nel regime delle precipitazioni nevose e nel deflusso dell’acqua dolce. Dal 1980 si è perso il 50% della copertura di ghiaccio nel Mare di Barents e si stima che la calotta polare artica estiva potrebbe scomparire completamente entro il 2050.

I ghiacciai artici che si fondono diminuiscono in modo drastico il loro volume e trasferiscono l’acqua di fusione nell’Oceano Artico, con grosse conseguenze sulla chimica e fisica delle acque marine.

Il nostro gruppo di ricerca investiga come agiscono i cambiamenti climatici sui meccanismi di fusione delle masse di ghiaccio e quali sono gli effetti delle masse d’acqua di fusione sulle acque marine, e opera nell’area del Kongsfjorden (Baia dei Re), nella maggiore delle Isole Svalbard, dove il CNR ha una base di ricerca chiamata “Dirigibile Italia” e situata presso la “stazione di ricerca” di Ny-Ålesund, un vecchio sito minerario ora trasformato in un moderno centro di ricerca che ospita basi da 12 paesi. Dal 2015 raccogliamo campioni di acqua nei drenaggi glaciali e misuriamo i flussi idrici e i parametri chimico-fisici nelle acque durante la stagione estiva, a partire dalle sommità dei ghiacciai fino alle coste del fiordo dove sfociano veri e propri torrenti, nonché a diverse profondità della colonna di acqua marina dentro al fiordo. Con le misure della quantità di acqua che scorre in questi torrenti si determina anche il carico solido trasportato, prelevando campioni che vengono successivamente analizzati nei laboratori CNR di Pisa.

Studiare la dinamica di fusione dei ghiacciai monitorando i drenaggi glaciali che scorrono fino all’Oceano Artico è fondamentale per comprendere gli effetti dei cambiamenti climatici. I dati raccolti fino ad ora e la loro elaborazione serviranno a creare modelli che permetteranno di definire i processi del sistema idrogeochimico artico e fare delle previsioni su futuri cambiamenti della risorsa acqua conseguenti a variazioni dei parametri climatici e ambientali, come ad esempio temperatura, intensità e distribuzione stagionale delle precipitazioni. 

Studiare le zone remote e in condizioni disagiate richiede spesso di trovare soluzioni alternative per il prelievo di campioni, cambiare il programma di campionamento a causa delle condizioni metereologiche avverse, che in un sito remoto come il Polo Nord non sono facili da affrontare

I risultati raggiunti fino ad ora evidenziano l’effetto del contributo dell’acqua dolce nel Kongsfjorden a partire dalla costa meridionale, dove uno dei principali sistemi di drenaggio glaciale della zona (il fiume Bayelva) trasferisce milioni di metri cubi di acqua di fusione. Le analisi degli isotopi della molecola d’acqua hanno permesso di evidenziare che l’acqua dello strato superiore del Kongsfjorden è significativamente influenzata dalla fusione dei ghiacciai. Inoltre, per identificare e comprendere meglio le variazioni del contenuto di carbonio disciolto nell’acqua, uno strumento prototipale è stato realizzato dai ricercatori stessi.

Schema delle dinamiche idrologiche del sistema glaciale artico e delle attività di ricerca che vi si svolgono. © I. Baneschi e M. Doveri

Dall’estate 2022, le analisi già in corso verranno integrate con misure della biomassa microbica e delle sostanze inquinanti trasportate dalle acque di fusione, ma anche con misure geofisiche per individuare se vi sono zone con acque sotterranee che scorrono al disotto del permafrost, quello strato di sottosuolo ghiacciato per più di due anni consecutivi. Questo grazie al progetto ICEtoFLUX, finanziato dal MIUR nell’ambito del Programma di Ricerche in Artico e che verrà condotto in collaborazione tra gli istituti CNR di Geoscienze e Georisorse e di Scienze Polari, il Politecnico di Torino e l’Università di Bari.  

I dati misurati e la loro elaborazione integrata in modelli concettuali e numerici, così come schematizzato in figura, permetteranno di incrementare le conoscenze sui cambiamenti che riguardano l’idrosfera delle Regioni Polari e gli impatti sulla qualità e quantità delle risorse idriche; risultati, questi, di sicuro interesse per le popolazioni artiche e la comunità scientifica impegnata a studiare gli effetti climatici in queste regioni ed i loro ritorni sul clima alla scala globale.

di Ilaria Baneschi e Marco Doveri, IGG-CNR

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