(Rinnovabili.it) – Cosa accadrebbe se l’attuale calcolo emissioni si basasse su dove i beni e i servizi sono realmente utilizzati e consumati e non su dove vengono prodotti? Se lo è chiesto un team di ricercatori internazionali alla ricerca di un compromesso che permetta di rompere lo stallo sulle decisioni per limitare il climate change. Lo studio (A compromise to break the climate impasse, Doi 10.1038/nclimate2259 ) di Marco Grasso, del dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Milano-Bicocca e J. Timmons Roberts, dello Institute for the Study of Environment and Society della Brown University, elabora quattro proposte finalizzate a “invogliare” le potenze oggi climaticamente più riluttanti ad adottare un’azione internazionale concertata per abbattere le emissioni. Uno di questi elementi, si legge nel rapporto, potrebbe proprio essere il cambio della base di calcolo per i gas serra. Attualmente la contabilità delle emissioni registra quelle effettivamente prodotte da ciascun Paese; l’idea dei ricercatori è quella di passare, semplicemente, da un conteggio basato sulla produzione a uno basato sul consumo.
In questo modo, ad esempio, le tonnellate di gas serra immesse nell’atmosfera dalla Cina per produrre le auto vendute sul mercato europeo andrebbero imputate all’Unione Europea e sottratte alla repubblica popolare. Ciò, spiega Grasso, “aiuterebbe a trovare un accordo sul clima perché i due Paesi leader sulla scena mondiale, Cina e Stati Uniti, sarebbero, rispettivamente, avvantaggiati o non eccessivamente penalizzati e quindi sarebbero invogliati a adottare un’azione internazionale concertata per abbattere le emissioni”. Il nuovo calcolo permetterebbe infatti alla Cina, da qui al 2050, di aumentarle del 3.6% e alla Russia del 2%; l’India andrebbe in pari e gli Stati Uniti dovrebbero ridurle solo del 1.9%. Il “costo” più alto in termini di riduzioni delle emissioni sarebbe sostenuto dall’Unione Europea che, con il nuovo sistema di calcolo basato sui consumi, sarebbe costretta ad abbatterla del 7%.
“Tuttavia – aggiunge il ricercatore italiano – anche l’Unione Europea troverebbe la sua convenienza in questo compromesso. La UE, infatti, ha definitivamente perso la leadership sul clima dopo la conferenza di Copenaghen del 2009. Sopportando e sostenendo una riduzione così consistente tornerebbe a giocare un ruolo centrale nelle politiche internazionali sul clima e sulla protezione dell’ambiente”.