Il presidente Temer ha tempo fino al 19 giugno per decidere se approvare un pacchetto di norme devastanti per l'ambiente, che cozzano con gli impegni presi con l'accordo di Parigi
(Rinnovabili.it) – C’è preoccupazione nelle cancellerie europee e tra i leader globali: dopo la fuga degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, un grosso problema è rappresentato dal piano del Brasile per smantellare gran parte delle politiche ambientali. Una mossa che porterebbe il paese sudamericano fuori dai binari del patto sul cambiamento climatico, causando, se non de iure almeno de facto, una seconda uscita eccellente dal protocollo.
Del resto, era noto da qualche tempo l’indirizzo del governo Temer, che dopo aver scalzato l’ex presidente Dilma Rousseff ora traballa sotto le accuse di corruzione. Il Congresso ha infatti già approvato due misure che ridurranno drasticamente le dimensioni delle aree protette. Ora i legislatori stanno valutando regole di autorizzazione ambientale per le infrastrutture piuttosto lassiste, favorendo l’agricoltura industriale e i grandi progetti industriali. Sul tavolo c’è anche una proposta che cambierebbe la modalità con cui vengono classificate le terre appartenenti ai popoli indigeni, riducendo potenzialmente la loro dimensione e indebolendone le protezioni. Anche questa misura viene incontro alle richieste della potente lobby dell’agroindustria, legata alla deforestazione e in ottimi rapporti con Temer.
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Il paese è considerato il principale amministratore della foresta pluviale, dal momento il 65% dei suoi 5,5 milioni di km quadrati si estende entro i confini brasiliani. Per questo, le politiche nazionali sull’ambiente hanno un effetto enorme sui tassi globali di riduzione delle emissioni. Al punto che la sfilza di progetti di legge contrari ad una logica di conservazione e ripristino delle risorse rischiano di compromettere gli obiettivi globali.
Nonostante a Parigi il Brasile avesse promesso di ridurre le emissioni principalmente con una riduzione della deforestazione, nell’ultimo anno il tasso di disboscamento è aumentato del 29% rispetto al precedente e dopo dieci anni di calo continuo, un’inversione di tendenza che fa temere il peggio. Le critiche di Greenpeace Brasile non si sono fatte attendere: «È molto difficile che qualcuno riesca a fare peggio di Trump sull’ambiente, ma il governo brasiliano ci sta mettendo un grande impegno», ha detto all’AP Marcio Astrini, coordinatore delle politiche pubbliche dell’associazione.
Secondo l’Istituto per la ricerca ambientale in Amazzonia, il calo delle protezioni potrebbe comportare la perdita di 280.000 ettari di foreste entro il 2030 causare il rilascio di 140 milioni di tonnellate di anidride carbonica in atmosfera. Il presidente Temer ha fino al 19 giugno per avallare o porre il veto sul pacchetto di normative anti-clima, ma ha ben altri problemi in questo momento: proprio fronteggia l’accusa di aver adoperato fondi illegali per la campagna elettorale 2014 e resta sotto inchiesta da parte della Corte Suprema per «corruzione passiva», «ostruzione della giustizia» e «partecipazione a un’organizzazione criminale» nell’ambito dell’inchiesta “Lava Jato”. Su di lui pendono inoltre una decina di richieste di impeachment, depositate alla Camera dei Deputati.