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La BP e le pressioni su Trump per le trivellazioni in Alaska

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Documenti pubblicati da Greenpeace rivelano le pressioni della BP sull’amministrazione Trump per nuove trivellazioni in Alaska

(Rinnovabili.it) – British Petroleum (BP) ha intensificato la sua campagna di lobby per poter avviare le trivellazioni nel Mare di Beaufort [Artico n.d.r.] e nell’Alaskan National Wildlife Refuge (Anwr) a seguito dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. A rivelarlo sono alcuni documenti pubblicati in questi giorni dagli ambientalisti USA.
Secondo le carte in mano a Greenpeace-Unearthed, la compagnia petrolifera avrebbe scritto ai funzionari dell’amministrazione Trump nel corso dei primi mesi del nuovo Governo statunitense, per ottenere una serie di misure che facilitassero la ricerca ed estrazione degli idrocarburi nelle due aree sopracitate, continuando per anni a incalzare la Casa Bianca sul fronte deregolamentazione.

 

 

Mappa che mostra il Mare di Beaufort e le aree di esplorazione proposte dall'amministrazione Trump all'interno del Rifugio Artico. Crediti: "Bureau of Land Management"/Greenpeace-Unearthed
Mappa che mostra il Mare di Beaufort e le aree di esplorazione proposte dall’amministrazione Trump all’interno del Rifugio Artico. Crediti: “Bureau of Land Management”/Greenpeace-Unearthed

 

Nel dettaglio, i documenti redatti dalla BP (così come da altre aziende affini) dimostrano come la lobby petrolifera abbia colto l’opportunità della vittoria elettorale di Trump nel 2016 al fine di espandere la propria attività offshore, nonostante il danno d’immagine dovuto alla fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico appena sette anni prima.

Una pressione continua che ha ottenuto i suoi risultati. Nel giro di un anno dal suo insediamento, il presidente Trump ha cercato di cancellare i divieti di trivellazione introdotti a seguito del disastro avvenuto nel 2010, in cui milioni di litri di petrolio sono stati sversati in mare nella costa sud degli Usa.

«Aprire le aree all’esplorazione per le trivellazioni – ha dichiarato Unearthed in un comunicato stampa – espone l’ara a rischi significativi per l’ambiente e minerà gli sforzi per raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi». Gli esperti hanno avvertito che una pur minima fuoriuscita di petrolio nella zona potrebbe costituire un disastro ecologico senza precedenti.

 

>>Leggi anche: Trump alleggerisce le regole per le trivellazioni petrolifere off-shore<<

 

L’Alaskan National Wildlife Refuge è un’area naturale protetta per cui la questione trivellazioni offshore rappresenta una controversia politico-ambientale aperta fin dagli ‘60 e spinta – sempre – dalla BP: le prime esplorazioni da parte dell’azienda furono condotte in quegli anni da parte di un geologo chiamato Roger Herrera. Lo stesso inviò i propri rapporti tanto all’azienda quanto al Congresso americano sulle potenzialità di accumulo di petrolio presente in quella data area dell’Alaska. Il dibattito vero e proprio sulle trivellazioni nell’Anwr iniziò solamente nel 1977, ma da allora tiene sotto scacco la politica americana e l’attività di lobbying delle grandi industrie petrolifere. Il Rifugio Artico in questione, così chiamato, è un ‘deserto bianco’ a nord dell’Alaska, uno degli ultimi ecosistemi incontaminati del Mondo: per decenni questa zona è stata considerata dalla popolazione inuit locale [Gwich’in n.d.r.] ‘Izhik Gwats’an Gwandaii Goodlit’, ovvero, il ‘luogo sacro in cui la vita comincia‘. Negli anni ’80, infatti, Bernadette Dementieff, direttrice esecutivo del comitato direttivo della Gwich’in Nation, ha combattuto fortemente contro i tentativi di aprire la zona alla perforazione petrolifera: «il popolo inuit ha una connessione spirituale con la propria terra: c’è stato un tempo in cui abbiamo comunicato con la fauna locale e siamo stati in grado di prenderci cura l’uno dell’altro per migliaia di anni».

>>Leggi anche: USA, stop (momentaneo) alle trivellazioni nelle aree protette dell’Alaska<<

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