Il fotografo Christian Patrick Ricci ha passato un mese nella foresta del Borneo per documentare con un diario fotografico il dramma della deforestazione
Comunicare attraverso le immagini lo stato di salute del nostro pianeta: Christian Patrick Ricci, fotografo naturalista, ha fatto di questo principio il suo obiettivo professionale, documentando la natura nella sua versione più selvaggia, in ogni parte del mondo.
La sua avventura più recente è il progetto I’m Expedition di Nikon School nella foresta del Borneo: un mese trascorso a contatto con la realtà più vera e selvaggia di questo angolo del pianeta, spesso trascurato e dimenticato, gravemente minacciato dall’intervento distruttivo dell’uomo, per raccontare attraverso un diario di viaggio e le fotografie il dramma dei questi luoghi.
Come sei diventato un fotografo professionista specializzato in natura e viaggi? Cosa ti ha spinto a intraprendere questa carriera?
Sono diventato un professionista nel 1983, sono quindi più di 20 anni che faccio questo lavoro: ho collaborato a lungo con enti ed associazioni in giro per il mondo cercando di raccontare al meglio quello che avevo l’opportunità di vedere con i miei occhi, ma a un certo punto mi sono reso conto di voler approfondire il tema sociale e dell’ecosostenibilità in maniera autonoma e ho quindi deciso di creare qualcosa di nuovo. Il risultato è questo progetto, una testimonianza vera ed indipendente della realtà che si sta vivendo in questi luoghi.
Perché avete scelto la foresta del Borneo per questa spedizione?
La nostra è stata una scelta molto ragionata ma allo stesso tempo semplice: si parla sempre del disastro ambientale della foresta amazzonica, ma pochi sono a conoscenza del fatto che la foresta del Borneo, le cui dimensioni sono circa le stesse dell’Europa, sta vivendo un processo di degrado peggiore. Raccontare attraverso le immagini è il nostro lavoro, e grazie al supporto di Nikon abbiamo potuto realizzare questo progetto. La realtà che abbiamo vissuto e respirato durante questo mese è stata sconvolgente: il 70% della foresta del Borneo è distrutta, con gravissimi danni alla biodiversità di questa zone. Il colpevole? Come sempre accade in questi casi è l’uomo, da un lato responsabile dello sfruttamento sconsiderato dei territori per creare grandi piantagioni di palma da olio, dall’altro per il commercio illegale di essenze tropicali, poi esportate e rivendute all’estero.
Qual è lo stato attuale della foresta del Borneo?
Drammatico e sconvolgente, queste sono le parole che mi vengono in mente ripensando a questa esperienza: da un lato le lobbies del legname che distruggono illegalmente la foresta prelevando alcuni dei suoi monumenti naturali, alberi centenari di dimensioni impressionanti, per accontentare le richieste del mercato mondiale; dall’altro lato le monoculture di palma da olio, bruciando e spianando chilometri di foresta per creare le condizioni adatte alla piantumazione delle palme. L’uomo non si rende conto che sta distruggendo un intero ecosistema: la foresta del Borneo è una delle zone del mondo più complesse e eterogenee dal punto di vista ambientale e animale; vedere con i propri occhi, assistere al dramma della deforestazione e della distruzione di un interno habitat, è davvero sconvolgente e ti fa riflettere su come le nostre scelte e il nostro comportamento abbiano un impatto importante sul futuro delle prossime generazioni.
Come è stato l’incontro con la popolazione Dayak?
Questa parte del pianeta non è ancora vittima del turismo di massa, quindi le strutture a disposizione sono quasi inesistenti. Abbiamo vissuto a contatto con la popolazione locale Dayak e ci siamo adattati al massimo: qui le persone non avevano mai incontrato degli italiani e le condizioni di vita sono molto precarie, ma siamo stati accolti da subito con grande umiltà e generosità. Questa popolazione ama profondamente la natura e la conosce da sempre; chi lotta contro la distruzione della foresta e vuole proteggere la biodiversità locale ha un profondo rispetto e cura per questo spettacolare polmone verde, ma esiste anche una parte della popolazione Dayak che è stata assorbita dalle attività delle industrie che commerciano legname e coltivano palme da olio: come schiavi moderni vivono in riserve, esattamente come avveniva con gli indiani d’America nell’Ottocento.
Quali sono le difficoltà più grandi che avete incontrato durante la spedizione?
Gli spostamenti: il problema degli incendi è così grave che il cielo grigio di fumo rende spesso impossibili i tranfer interni. Noi viaggiamo con molta attrezzatura tecnica, una media di 40 Kg a testa, e ci siamo trovati in serie difficoltà senza la disponibilità aerea che avevamo programmato. Abbiamo usato dei fuoristrada, ma anche in questo caso reperire il carburante è stato davvero complesso, in quanto i prezzi sono molto alti e la disponibilità è limitata. Il secondo grande problema ha riguardato principalmente l’elettricità: computer, macchine fotografiche e video richiedono una fonte elettrica quasi giornaliera ed è complesso se ti trovi nel mezzo della foresta. Avevamo con noi dei pannelli solari che ci supportavano nelle emergenze, e una volta raggiunti i villaggi cercavamo di sfruttare il generatore locale, ma è stata comunque una situazione difficile da affrontare. Non dimentichiamo poi le sfide della vita quotidiana: grazie al supporto di SurvivalShop, partner tecnico della spedizione, siamo riusciti ad affrontare le insidie che questa foresta nasconde al meglio: i preziosi prodotti Bear Grylls Gerber Survival, coltelli, accendi fuoco, pastiglie depurative e sacche waterproof per tenere tutta la nostra attrezzatura al sicuro da umidità, acqua e sporco; insomma, un grande aiuto per superare le situazioni difficili che abbiamo affrontato, dandoci la possibilità di concentrarci al meglio sulla nostra missione.