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Uno studio globale spiega come rafforzare davvero la tutela della fauna selvatica

Analizzato l'impatto di 1.500 aree protette sparse in 68 paesi su più di 27.000 popolazioni di uccelli acquatici, con risultati generalizzabili per il resto della fauna. Dichiarare nuovi parchi non basta, serve una gestione specie specifica. E più sono grandi, più le aree protette sono efficaci nella conservazione

Tutela della fauna selvatica: creare aree protette non basta
Foto di hideki_sato da Pixabay

La ricerca sulla tutela della fauna selvatica è apparsa su Nature

(Rinnovabili.it) – Il mese prossimo la COP15 di Kunming, in Cina, fisserà ufficialmente l’obiettivo di proteggere almeno il 30% delle terre e dei mari entro il 2030. Ma questo target da solo non basta per salvaguardare la biodiversità. Creare nuovi parchi aiuta molto a proteggere gli habitat, meno a tutelare la fauna selvatica. Lo ha dimostrato il primo grande studio globale sull’impatto delle aree protette per gli animali apparso di recente su Nature.

Lo studio si è concentrato sugli uccelli acquatici, esaminando l’impatto di 1.500 aree protette sparse in 68 paesi su più di 27.000 popolazioni di uccelli acquatici. Ma i risultati hanno una rilevanza più ampia per la conservazione, spiegano gli autori. Le caratteristiche di questi animali – abbondanza, ubiquità, capacità di colonizzare nuove regioni e migrare rapidamente – la rendono un ottimo metro di paragone anche per il resto della fauna selvatica.

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Due i risultati più importanti di questo studio. Primo, parchi nazionali e aree protette funzionano meglio se sono gestiti con programmi e procedure specie specifiche: se, cioè, implementano piani di conservazione attagliati alla fauna locale, invece di limitarsi a impedire soltanto la perdita o il degrado dell’habitat. Secondo, più l’area sotto tutela è grande, più è efficace.

“Il nostro studio mostra che, mentre molte aree protette funzionano bene, molte altre non riescono ad avere un effetto positivo”, spiega Hannah Wauchope del Center for Ecology and Conservation del Penryn Campus di Exeter e prima firma dello studio. “Piuttosto che concentrarsi solo sull’area globale totale protetta, abbiamo bisogno di concentrarci di più sull’assicurare che le aree siano ben gestite per portare benefici alla biodiversità”.

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Oltre che per l’ampiezza della base di dati analizzata, questo studio riesce a correggere le stime precedenti anche grazie alla metodologia impiegata, la “Before-after-control-impact”. Consiste nel confrontare i trend della popolazione di uccelli acquatici prima che le aree protette fossero istituite con quelli relativi agli anni seguenti, e nel confrontare i trend di popolazioni di uccelli acquatici simili all’interno e all’esterno delle aree protette.