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Ultimo atto di Trump, via libera alle trivelle in Alaska

Trivelle in Alaska
Credits: Dean Biggins (U.S. Fish and Wildlife Service) – US FWS, DIVISION OF PUBLIC AFFAIRS, WO3772-023, Public Domain

(Rinnovabili.it) – Annuncio dell’asta il 7 dicembre, vendita dei permessi dal 6 gennaio. Procede davvero a tappe forzate la campagna di Trump sulle trivelle in Alaska. Il presidente uscente ha accelerato i tempi e forzato le procedure pur di riuscire a consegnare un pezzo di Artico alle compagnie petrolifere americane prima che si insedi il suo successore alla Casa Bianca, il 20 gennaio prossimo. Non un pezzo qualunque: si tratta dell’Arctic National Wildlife Refuge, dimora di alcune popolazioni di nativi americani e luogo di migrazione di orsi polari e caribù.

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Ma la fretta di Trump sulle trivelle in Alaska avrà delle conseguenze legali. Perché il balzo in avanti è stato fatto a scapito delle procedure ordinarie. Nello specifico, sono saltati del tutto i normali tempi per la notifica di osservazioni e rilievi da parte della società civile.

L’iter accelerato è partito due settimane fa. Il Bureau of Land Management, l’agenzia che si occupa di tutto il territorio federale (inclusi molti parchi), ha chiesto formalmente alle compagnie petrolifere quali parcelle dell’Arctic National Wildlife Refuge considerano più appetibili per le trivelle. Il passo serve per preparare la carta di base delle aste delle concessioni, ma fa scattare anche un periodo di 30 giorni durante i quali ong o semplici cittadini possono notificare all’agenzia il loro parere.

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Tempi che sono saltati. Così le associazioni ambientaliste annunciano che presenteranno ricorso e sposteranno il caso in tribunale. Intanto però la vendita dei permessi di trivellazione andrà avanti, e così anche le operazioni. L’area interessata si estende per circa 6mila km2 lungo la pianura costiera nel nord-est dell’Alaska. Ospita numerose specie animali, tra cui la sottopopolazione di orsi polari del Mare di Beaufort meridionale, che ha numeri in diminuzione, e il caribù di Grant, che è sacro al popolo nativo Gwich’in.

Il braccio di ferro sul parco nazionale, istituito esattamente 60 anni fa dall’allora presidente Eisenhower, è da decenni nelle mire delle compagnie petrolifere. Trump aveva avviato la procedura per aprirlo allo sfruttamento delle risorse idrocarburiche già nel 2017, su una porzione pari all’8% della superficie totale del parco.

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