La scorsa settimana i delegati hanno approvato per la prima volta un documento provvisorio da cui partire per l’ultima fase di negoziati. Mai il WTO era riuscito ad arrivare a uno stadio così avanzato. Ma i criteri per le esenzioni si applicano anche alla Cina, che è responsabile di 1/5 della pesca insostenibile globale
Si discute da 20 anni di come regolare i sussidi dannosi alla pesca
(Rinnovabili.it) – Dopo 20 anni di negoziati, il WTO si sta avvicinando fai un accordo globale per cancellare i sussidi dannosi alla pesca. La scorsa settimana, ministri e capidelegazione di 104 paesi hanno dato il via libera di massima a una bozza di accordo. Testo che sarà discusso il 30 novembre prossimo, data in cui potrebbe diventare definitivo.
Anche se i negoziati sono durati due decenni, il testo da cui si partirà ha ancora delle zone d’ombra che possono trasformarlo in una misura poco incisiva. La principale? Il ruolo della Cina. Le politiche sui sussidi dannosi alla pesca di Pechino sono uno dei principali driver dietro il degrado e l’esaurimento degli stock ittici.
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Il punto più caldo dell’accordo riguarderà le esenzioni previste per i paesi più poveri e in via di sviluppo. Ai sensi del WTO, infatti, la Cina figura come un paese in via di sviluppo. E Pechino non perde occasione per sfruttare a suo vantaggio questa classificazione. Il governo cinese sostiene che i sussidi che fornisce siano essenziali per sostenere i pescatori più vulnerabili, ma alcune ricerche dimostrano che in realtà i sussidi finiscono alle grandi flotte di pescherecci.
Il peso specifico della Cina è tale che, se l’accordo non limita in modo consistente i sussidi dannosi alla pesca forniti da Pechino, si trasforma di fatto in un’arma spuntata. La Cina, infatti, fornisce il 21% dei sussidi totali. quasi il doppio dell’ammontare fornito dall’Unione europea, che si ferma all’ 11%. Seguono gli Stati Uniti con il 10% e la Corea del Sud con il 9%.
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Per come è stato formulato l’accordo provvisorio, La Cina riuscirebbe ma proseguire la sua politica di sussidi. I criteri previsti per l’applicazione della moratoria nei paesi in via di sviluppo prevedono che il paese peschi un acque profonde, abbiamo reddito maggiore di 5.000 $ pro capite, produca più del 2% del pescato mondiale e ricavi da pesca e agricoltura chiude il 10% del suo reddito. Come spiega Climate Home News, Pechino sfugge proprio per quest’ultimo criterio, visto che il reddito da questi settori è solo dell’ 8%.