Alla COP15 sulla biodiversità, la società civile chiede (per la terza volta) una moratoria internazionale sulla tecnica che permette di modificare stabilmente il genoma di un essere vivente e diffondere la mutazione in tutta la popolazione. Un processo che oggi non ha regole né valutazioni del rischio. E se da un lato prospetta molti vantaggi per l’uomo, dall’altro genera interrogativi sulla sua controllabilità
La campagna Stop Gene Drive chiede di applicare il principio di precauzione prima di usare liberamente la spinta genetica
(Rinnovabili.it) – Nel 2018, uno studio apparso su Nature Biotechnology spiegava che è possibile modificare stabilmente il genoma di una zanzara e forzare l’ereditarietà del tratto di Dna trasformato finché tutta la popolazione lo acquisisce. La zanzara in questione era l’Anopheles gambiae, capace di trasmettere la malaria, e gli esperimenti in laboratorio erano riusciti a diffondere una mutazione che rende le femmine incapaci di pungere e sterili. Se introdotta in natura, non solo in laboratorio, nel giro di qualche generazione la mutazione ottenuta con la tecnica della ‘spinta genetica’ o gene drive farebbe estinguere questa specie di zanzara. E, ovviamente, porterebbe a zero la diffusione della malaria.
Sono 20 anni che la ricerca in questa branca delle biotecnologie cerca di capire come utilizzare la spinta genetica per curare il cancro, limitare la diffusione di epidemie, e ingegnerizzare piante e animali a vantaggio dell’uomo. Molti meno progressi sono stati fatti nel porre limiti e regole alla spinta genetica e a questo impiego della tecnica che la rende possibile, Crispr/Cas9, la più usata al mondo per modificare qualsiasi frammento di Dna. Un tema che sarà discusso da domani alla COP15 di Montréal, la conferenza internazionale sulla tutela della diversità biologica.
Una moratoria per la spinta genetica?
Non è la prima volta che il gene drive si affaccia ai summit della Convention on Biological Diversity, l’organo che organizza ogni 2 anni le COP sulla biodiversità. Già a Cancun nel 2016 e a Sharm el-Sheikh nel 2018 in agenda aveva trovato posto il tema delle nuove frontiere dell’editing del genoma. Con la richiesta, supportata da moltissimi soggetti della società civile, di istituire una moratoria internazionale che dia tempo per approfondire le possibili conseguenze della spinta genetica sugli ecosistemi.
L’appello è lanciato dalla campagna Stop Gene Drive e raccoglie l’adesione di quasi 250 ong da tutto il mondo. Il punto principale: usare il principio di precauzione. Perché questo tipo di editing del genoma scatena processi che sono irreversibili e incontrollabili. “Gli organismi con spinta genetica sono destinati a sostituire o addirittura a estinguere i loro conspecifici in natura. Il loro rilascio può avere conseguenze imprevedibili sugli ecosistemi e sulle reti alimentari. Non può essere annullato. Nel peggiore dei casi, potrebbe portare a un’ulteriore estinzione di specie e al collasso di interi ecosistemi, oltre a mettere in pericolo la salute e l’alimentazione umana”, sostengono i promotori della moratoria.
Il gene drive alla COP15 di Montréal
D’altronde fino a oggi non esiste un accordo internazionale specifico che regoli la ricerca e il rilascio di questo tipo di organismi geneticamente modificati. È ancora il far west. “Tuttavia, Target Malaria ha annunciato i primi test di rilascio con zanzare ‘gene drive’ per il 2024”, sottolineano i promotori della campagna.
Alla COP15 di Montréal, la società civile chiederà una valutazione multidisciplinare dei rischi, l’istituzione di processi decisionali partecipativi, ricorderà l’importanza del principio di precauzione e la necessità di includere nella valutazione tecnologica le conoscenze delle popolazioni indigene e delle comunità locali, i cui territori sono proposti per i primi rilasci di organismi geneticamente modificati. “Esortiamo i decisori politici ad affrontare la questione delle unità geniche con la massima cautela. Una volta rilasciati, non possono essere controllati, invertiti o richiamati e non rispettano le frontiere”, spiega Barbara Pilz, che coordina la campagna internazionale Stop Gene Drives. “Questa tecnologia aggiunge rischi immensi alla conservazione della diversità biologica ed è in contrasto con il concetto di protezione della natura. Non creiamo un’altra eredità distruttiva per le generazioni future”.