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Vicini indesiderabili: la densità umana fa crollare la ricchezza di specie

I ricercatori dell'ateneo fiorentino hanno analizzato l’impatto delle attività umane sulle comunità di mammiferi nelle foreste tropicali. Utilizzando oltre 550.000 immagini da 2.000 foto-trappole

Ricchezza di specie: la vicinanza dell’uomo la fa diminuire
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La semplice vicinanza dell’uomo fa diminuire la ricchezza di specie. Densità umana e perdita di biodiversità sono intimamente legate, anche quando l’uomo e le sue attività non insistono direttamente su un’area ma restano alla sua periferia.

Non solo: la densità umana è il principale fattore di riduzione della biodiversità. ogni 16 persone/km2 nei dintorni comportano una diminuzione dell’1% nella ricchezza di specie. È il risultato a cui arriva uno studio globale coordinato dall’università di Firenze e pubblicato su plos Biology.

I ricercatori hanno analizzato l’impatto delle attività umane sulle comunità di mammiferi nelle foreste tropicali. Utilizzando oltre 550.000 immagini da 2.000 foto-trappole, i ricercatori hanno monitorato 239 specie in 37 foreste dei Neotropici, Afrotropici e Sud-Est Asiatico. Foreste tropicali che, pur essendo tra gli ecosistemi con la maggior ricchezza di specie al mondo, sono anche tra quelli più fragili.

La densità umana distrugge la ricchezza di specie

A incidere sono sia la sovrappopolazione umana, sia la frammentazione e la riduzione dell’habitat che consegue dall’aumentata presenza antropica. La perdita e frammentazione delle foreste causano una riduzione della distribuzione delle popolazioni, che insieme alla sovrappopolazione umana portano all’estinzione locale delle specie più sensibili.

Il combinato disposto di questi fattori è ciò che i ricercatori chiamano filtro di estinzione antropogenico”. Un meccanismo che evidenzia che solo le specie più resistenti sopravvivono in ambienti altamente antropizzati. La frammentazione, infatti, riduce la capacità delle specie di spostarsi e adattarsi, aumentando il rischio di estinzione locale. E le specie rimaste si concentrano in ambienti sempre più ristretti, riducendo la loro diversità genetica e resilienza. Tutto ciò resta vero anche quando queste specie vivono in aree protette.

Le tendenze demografiche e di geografia umana attuali suggeriscono che questo fenomeno non farà che acuirsi. “Metà della popolazione mondiale risiederà nelle regioni tropicali entro il 2050 – spiegano i ricercatori – e il 90% delle persone che vivono in estrema povertà nei tropici fa molto affidamento sulle risorse forestali. Urge più che mai una pianificazione complessiva su scala paesaggistica che armonizzi la conservazione delle aree protette e la creazione di nuove aree protette – come previsto dai target globali fissati per il 2023 – con lo sviluppo socio-economico locale”

Come? La creazione di zone cuscinetto, la protezione oltre i limiti delle riserve, il ripristino degli habitat anche grazie a corridoi ecologici sono le strategie principali. Ma è essenziale anche il miglioramento delle condizioni di vita locali (delle popolazioni umane) per ridurre la pressione sulle foreste. “Soluzioni determinanti per alleviare il degrado delle foreste tropicali potranno essere il miglioramento degli standard di vita, maggiore istruzione, promozione di alternative alla legna da ardere per cucinare e uso condiviso delle terre”, concludono i ricercatori.

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