Declassamenti del rating sovrano anche ai ritmi attuali di perdita di natura
(Rinnovabili.it) – C’è un filo rosso che collega la deforestazione e le agenzie di rating, il declino degli impollinatori e il credito sovrano, il degrado dei servizi ecosistemici e la capacità degli stati di finanziarsi sui mercati internazionali. Quale? Un collasso, anche parziale, della biodiversità si traduce in un taglio del rating sovrano di diversi livelli. Non in un lontano futuro: è uno scenario plausibile già nel 2030 per economie complesse come, ad esempio, quella cinese.
Lo afferma uno studio realizzato da 4 università inglesi – University of East Anglia, Cambridge, Sheffield Hallam University e SOAS University of London – su un campione di 26 paesi. La ricerca compara l’impatto di un degrado ecosistemico che continua fino a fine decennio ai ritmi attuali con quello che ci si può attendere da un parziale collasso di alcuni ecosistemi chiave, tra cui le foreste tropicali, alcuni habitat marini cruciali per sostenere le risorse ittiche, e la riduzione degli insetti impollinatori.
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La perdita di specie animali e vegetali potrebbe causare nel 2030 importanti declassamenti del rating sovrano già ai ritmi di oggi. La Cina e l’Indonesia, infatti, sono su una traiettoria che potrebbe togliere loro due livelli in uno scenario di business-as-usual. Nello scenario di parziale collasso ecosistemico, invece, Pechino sarebbe l’economia più colpita e, stando alle proiezioni dello studio, subirebbe fino a 6 declassamenti, insieme alla Malesia.
Nel complesso, circa la metà dei 26 paesi analizzati sarebbe molto penalizzata da una perdita di biodiversità sostenuta. In tutti i 26 Paesi, questi declassamenti aumenterebbero il pagamento annuale degli interessi sul debito fino a 53 miliardi di dollari all’anno, lasciando molti paesi in via di sviluppo a rischio significativo di default del debito sovrano – in pratica, di bancarotta. Rischierebbero molto, ad esempio, Bangladesh, Etiopia e Filippine (tutti con 4 livelli di rating sovrano in meno), ma anche Vietnam, Colombia, Brasile, Angola, Repubblica Democratica del Congo con almeno 2 livelli persi.
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“Non sono solo i finanzieri a rimetterci”, spiega l’autore principale dello studio, Matthew Agarwala. “L’aumento del rischio sovrano fa sì che i mercati richiedano premi di rischio più elevati, il che significa che i governi – e in ultima analisi i contribuenti – pagano di più per ottenere prestiti. Man mano che la perdita di natura riduce la performance economica, diventerà più difficile per i Paesi assicurare il servizio del debito, mettendo a dura prova i bilanci pubblici e costringendoli ad aumentare le tasse, tagliare la spesa o aumentare l’inflazione. Tutto ciò avrà gravi conseguenze per la gente comune”.