Rinnovabili • Proteggere la biodiversità: i “ritardi ecologici” ci condannano? Rinnovabili • Proteggere la biodiversità: i “ritardi ecologici” ci condannano?

Stiamo già mancando i target 2030 per proteggere la biodiversità

C’è un divario tra l’insorgere del cambiamento climatico o del degrado di un ecosistema e il concretizzarsi del suo effetto sulle specie animali. Anche di alcuni decenni. Ma questo ritardo non è preso in considerazione dai modelli in uso oggi

Proteggere la biodiversità: i “ritardi ecologici” ci condannano?
Foto di Dirk (Beeki®) Schumacher da Pixabay

Le nostre azioni oggi determinano come sarà possibile proteggere la biodiversità nel 2050

(Rinnovabili.it) – Lo scorso dicembre, più di 200 paesi si sono riuniti a Montreal, in Canada, per decidere i nuovi obiettivi per proteggere la biodiversità al 2030. La Cop15 ha segnato qualche passo avanti importante e c’è qualche speranza che non finisca in modo rovinoso come con i target 2020 (li abbiamo mancati tutti). Un nuovo studio, però, frena gli entusiasmi: questi obiettivi ci starebbero già scivolando di mano adesso, con poche possibilità di raggiungerli davvero.

Il motivo è semplice: le stime sulla conservazione degli ecosistemi e delle specie animali non incorporano il divario che esiste tra l’insorgenza dell’effetto (la crisi climatica e la perdita di habitat) e il momento in cui la sua conseguenza diventa visibile. Il degrado degli ecosistemi a cui assistiamo oggi, in altre parole, non dipende dal livello di climate change attuale ma da quello di alcuni decenni fa.

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Questo divario cambia da specie a specie, hanno calcolato i ricercatori della Zoological Society di Londra. Si va dai 14 anni per le specie di uccelli di dimensioni più piccole fino a oltre 40 anni per le specie più grandi (anche 45 anni per i mammiferi) nel caso di impatti legati al clima, mentre quelli generati dal cambio di destinazione dei terreni è più contenuto: 3 anni per gli uccelli, 10 per le altre specie.

Questi “ritardi ecologici”, come li definisce lo studio apparso su Proceedings B della Royal Society, significano che “fino al 2050 l’abbondanza della popolazione risponderà ancora ai cambiamenti ambientali avvenuti prima del 2010”. Questi ritardi, dunque, “potrebbero ostacolare gli attuali sforzi” nel proteggere la biodiversità soprattutto per uccelli medio-piccoli e i piccoli mammiferi. “Ritardi di 30 anni o più, come quelli riscontrati in questo caso per le specie medio-grandi, significano anche che le tendenze delle popolazioni nel 2050 e oltre saranno fortemente influenzate dagli attuali cambiamenti ambientali e dalle decisioni politiche che prendiamo ora, conclude lo studio.