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Il cashmere minaccia la sopravvivenza del leopardo delle nevi

leopardo delle nevi
Foto di luxstorm da Pixabay

(Rinnovabili.it) – La globalizzazione può avere un impatto negativo sull’ambiente? Quale collegamento esiste tra il cashmere e il leopardo delle nevi in Mongolia?

Un progetto di ricerca svolto dallUniversità di Firenze in collaborazione con il MUSE (Museo delle Scienze di Trento) ha rilevato che la globalizzazione dei consumi può giungere ad alterare l’equilibrio della fauna e dell’ambiente naturale anche in un’area remota e poco abitata dall’uomo come i Monti Altai della Mongolia.

La richiesta globale di cashmere altera l’ecosistema

Al gruppo di ricerca internazionale hanno preso parte anche il CNR, l’Università di Lubiana, l’Università di Losanna, alcuni enti in Mongolia e l’ong Wildlife Initiative. Tra i principali finanziatori la Fondazione statunitense Panthera e la Fondazione italiana Arca del Parco Natura Viva.

La ricerca Co-occurrence of snow leopard, wolf and Siberian ibex under livestock encroachment into protected areas across the Mongolian Alta, coordinata da Francesco Rovero, ricercatore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, è stata pubblicata sulla rivista specializzata “Biological Conservation”.

 Il risultato dello studio mette in evidenza il rapporto causa-effetto tra il consistente aumento dell’allevamento di bestiame, che in questo caso è legato al mercato del cashmere, e la minaccia di alcune specie chiave dell’ecosistema come il leopardo delle nevi.

Nello specifico, la ricerca ha analizzato la ripercussione che l’incremento dell’allevamento delle capre da cashmere ha avuto sull’equilibrio ambientale e faunistico. Il problema si è amplificato negli ultimi anni in Cina e soprattutto in Mongolia per effetto dell’aumentata richiesta globale di lana da cashmere. L’Italia, tra l’altro, è il primo Paese trasformatore di lana grezza.

L’analisi con le foto-trappole

Nel periodo 2015-2019 sono stati analizzati i dati raccolti da oltre 200 foto-trappole in quattro aree montane della Mongolia occidentale, spesso a più di 4000 metri di altitudine.

Come ha spiegato il primo autore dello studio, Marco Salvatori, dottorando di ricerca presso l’Università di Firenze e il MUSE, «l’obiettivo delle analisi era capire se le mandrie di animali domestici agissero da fattore di attrazione, quale fonte aggiuntiva di prede, o di repulsione per i due grandi carnivori dell’area, il leopardo delle nevi e il lupo, e se inibissero la presenza dello stambecco siberiano, principale preda del leopardo delle nevi in queste aree».

I risultati delle analisi sono evidenti, afferma il coordinatore Francesco Rovero: «La pastorizia diffusa disturba il leopardo delle nevi, felino sfuggente e adattato a predare animali selvatici in terreni scoscesi, spingendolo ad evitare le zone utilizzate dalle grandi mandrie di bestiame, che sono però sempre più diffuse anche all’interno delle aree protette. Al contrario il lupo sembra essere attratto dagli animali domestici e questo genera il rischio di conflitti con i pastori».

Un felino raro che rischia di scomparire

Il leopardo delle nevi è il meno conosciuto e tra i più rari dei grandi felini. Come chiarisce Valentina Oberosler, ricercatrice post-doc del MUSE, che ha contribuito allo studio, «la sua distribuzione è frammentata, le sue popolazioni in diminuzione. Vive solo in catene montuose remote dell’Asia centrale, dal Nepal alla Siberia: si stima che ne sopravvivano poche migliaia di individui. Per questo è importante capire le cause principali del suo declino e fornire raccomandazioni utili alla corretta gestione dell’ambiente in cui vive».

Per non rischiare di compromettere i fragili equilibri biologici, sarà importante «favorire pratiche di allevamento maggiormente compatibili con la sopravvivenza a lungo termine dei grandi mammiferi delle montagne dell’Asia centrale».

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