Rinnovabili

I danni dell’erpetofauna invasiva: quanto ci costano anfibi e rettili alieni

Erpetofauna invasiva: danni globali per 17 mld $ in 35 anni
By Pavel Kirillov from St.Petersburg, Russia – Brown tree snake (Boiga irregularis), CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46853510

Due sole specie di rettili e anfibi alloctoni sono responsabili del 95% dei costi globali

(Rinnovabili.it) – Anfibi e rettili alieni ci sono costati 17 miliardi di dollari in 35 anni tra danni agli ecosistemi, economici e sanitari. Ma le specie più problematiche sono solo due: Boiga irregularis e Lithobates catesbeianus, cioè il serpente bruno arboricolo e la rana toro. Insieme, sono responsabili di oltre il 95% dei costi globali dell’erpetofauna invasiva. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports. Che avverte: i dati sono pochi, e per molte categorie tassonomiche mancano del tutto. I danni dell’introduzione di rettili e anfibi in ecosistemi nuovi, quindi, possono essere sottostimati.

Qual è l’impatto delle specie aliene

Come ogni specie animale e vegetale, anche nel caso di rettili e anfibi l’introduzione di una specie in un ecosistema in cui non sono naturalmente presenti può causare degli squilibri più o meno accentuati su fauna e flora autoctone. In generale, l’arrivo di una specie alloctona può avere un impatto sulla biodiversità, ad esempio se va ad alterare l’equilibrio tra predatori e prede o se risulta meglio adatta a sopravvivere in quella nicchia ecologica rispetto ad alcune delle specie originarie.

L’impatto può passare anche dall’importazione di nuovi virus e batteri contro i quali gli organismi locali non hanno difese efficaci. Questo è un problema che può investire direttamente anche l’uomo in caso di malattie zoonotiche. Specialmente nel caso di mammiferi alieni, magari importati come animali da compagnia o da pelliccia e poi rilasciati, anche accidentalmente, in natura.

Visoni, nutrie e scoiattoli, ad esempio, sono veicoli di patologie che possono colpire anche gli esseri umani. L’81% dei mammiferi alieni presenti in Europa, stima uno studio recente, può trasmettere malattie all’uomo. Impatti ecosistemici e sanitari sono poi completati da quelli economici, che in parte discendono da essi. I casi più comuni riguardano l’impatto di specie aliene sull’agricoltura.

Una ricerca pubblicata nel 2021 stabilisce che l’impatto globale delle specie aliene negli ultimi 50 anni è di circa 1.300 miliardi di dollari e tende ad aumentare di decennio in decennio. In Italia, secondo i dati di Ispra, esistono più di 3300 specie alloctone di cui più o meno il 12% (400) sono ritenute dannose. I danni delle specie invasive in Europa ammontano a circa 12 miliardi di euro l’anno.

I danni dell’erpetofauna invasiva

Lo studio pubblicato da Scientific Reports fornisce una stima dettagliata dei danni attribuibili all’erpetofauna invasiva a livello globale. Tra il 1986 e il 2020, gli anfibi alloctoni hanno provocato danni per 6,3 miliardi di dollari, mentre la quota maggiore spetta ai rettili con 10,4 miliardi. Una parte residuale, poco più di 300 milioni, è da attribuire alle specie miste.

Come detto, queste cifre sono in larga parte dipendenti dall’impatto di due sole specie. Il serpente bruno arboricolo – originario del sud-est asiatico, tra Malesia, Papua Nuova Guinea, Indonesia e Australia settentrionale – è responsabile di ben 10,3 miliardi di danni. La rana toro, invece, proviene dal Nord America ed è la causa di 6 miliardi di danni in tutto il mondo. I costi maggiori se li devono sobbarcare i paesi dell’Oceania (oltre il 60%), mentre l’Europa è al secondo posto con il 35%.

Questa fotografia, però, è tutt’altro che completa. I ricercatori hanno analizzato i dati contenuti nel database InvaCost, il più completo al mondo sui danni provocati dalle specie aliene. Riguardo all’erpetofauna invasiva, l’elenco contiene soltanto 21 specie. Le altre 19, quindi, sono responsabili di appena 600 milioni di dollari di danni. Ma restano fuori dal radar tantissimi rettili e anfibi: il 94% delle specie alloctone oggi conosciute. I dati, infatti, hanno un bias di fondo: dipendono dallo sforzo di ricerca, che tende a concentrarsi sulle specie più conosciute. In più, in 8 casi su 10, le stime non derivano dall’osservazione diretta ma da previsioni e dall’estrapolazione di dati. (lm)

Exit mobile version