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E se creassimo un fondo Loss & Damage per la biodiversità?

Loss & Damage per la biodiversità: chi consuma paga
Foto di G.C. da Pixabay

La proposta dei ricercatori dell’ICCCAD

(Rinnovabili.it) – I paesi più ricchi hanno una responsabilità storica per la perdita di biodiversità oltre che per le emissioni di gas serra. Così come la Cop27 ha varato il fondo per le perdite e i danni legati al clima, i negoziati internazionali sulla diversità biologica dovrebbero partorire uno strumento analogo dedicato ai danni arrecati alla natura: un fondo Loss & Damage per la biodiversità. Lo sostengono alcuni ricercatori dell’International Centre for Climate Change and Development (ICCCAD) con sedi a Londra e Dacca in Bangladesh.

Il concetto di Loss & Damage per la biodiversità è del tutto analogo a quello per il clima ed esprime il bisogno di equità e giustizia ambientale nelle relazioni tra i paesi con economie più avanzate e i paesi meno sviluppati. I primi dovrebbero compensare lo sfruttamento delle risorse dei secondi fornendo loro strumenti e finanziamenti adeguati per tutelare la diversità biologica e gli ecosistemi.

“La perdita di biodiversità a livello globale è stata determinata in modo sproporzionato dal consumo delle popolazioni dei Paesi ricchi. Il concetto di “Loss & Damage”, già noto negli accordi internazionali sul cambiamento climatico, dovrebbe essere considerato per gli effetti della perdita di biodiversità nei Paesi del Sud globale”, scrivono i ricercatori in un articolo di commento pubblicato su Nature Ecology & Evolution.

Come dovrebbe funzionare un fondo Loss & Damage per la biodiversità?

Il tema non è del tutto nuovo. Un’ipotesi simile, che anche solo un anno fa era ancora considerata impraticabile, è diventata argomento di discussione tra i corridoi della Cop15 di Montréal lo scorso dicembre. Il summit sulla biodiversità si è tenuto subito dopo la Cop27 di Sharm el-Sheikh e molti delegati speravano di sfruttare l’onda lunga della vittoria sul fondo per le perdite e i danni, strappata all’ultimo secondo grazie all’azione coordinata e unitaria di gran parte del Sud Globale e della Cina.

Ma i ricercatori dell’ICCCAD ritengono improbabile che si riesca a replicare l’accordo in chiave biodiversità. Creare un secondo fondo è complesso e si andrebbe incontro a troppe resistenze, sostengono. La loro proposta quindi è modellare la struttura del fondo per le perdite e i danni del climate change in modo da incorporare anche alcuni aspetti cruciali per la biodiversità.

“Se vengono messi in atto i meccanismi appropriati per tenere conto delle perdite e dei danni non economici, alcuni dei danni associati alla perdita di biodiversità potrebbero essere affrontati attraverso il fondo per le perdite e i danni climatici”, scrivono. D’altronde il cambiamento climatico è uno dei driver principali della perdita di biodiversità, e a sua volta il degrado degli ecosistemi alimenta la crisi climatica. Si dovrebbe perciò allargare il campo dal solo principio “chi inquina paga”, che innerva il fondo per le perdite e i danni attuale, al principio “chi consuma paga” in modo da tener conto degli effetti dei modelli di consumo dei paesi più ricchi.

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