La crisi ecologica minaccia metà del PIL globale
Diffondere in Italia modelli di business capaci di migliorare lo stato di conservazione degli ecosistemi. Un’economia che aiuti il territorio ad adattarsi al cambiamento climatico. Diventando, allo stesso tempo, più resiliente e competitiva di fronte alla crisi ecologica. E’ l’obiettivo del Nature Positive Network, l’iniziativa di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Autorità di Bacino Distrettuale del Po lanciata il 20 giugno.
Il peso della crisi ecologica per l’economia
Senza natura non c’è economia. È il messaggio lanciato da diversi studi che negli ultimi anni hanno provato a quantificare il contributo che gli ecosistemi in buona salute forniscono all’economia globale. La distruzione della natura, secondo le stime del World Economic Forum, mette a repentaglio le risorse che attualmente generano circa la metà del PIL globale. Ovvero circa 44mila miliardi di dollari. Solo l’impatto della perdita di impollinatori selvatici, pesca marina e legname proveniente dalle foreste tropicali potrebbe ridurre il PIL globale di circa 2.700 miliardi di dollari all’anno entro il 2030.
Su questo sfondo si fa sempre più strada l’idea di integrare, tra gli indicatori macroeconomici, anche i ‘servizi ecosistemici’, cioè una quantificazione del contributo che i diversi ecosistemi apportano all’economia e al benessere delle società. È l’approccio, ad esempio, dell’economia della biodiversità proposto dalla Dasgupta Review, un rapporto commissionato dal governo britannico nel 2021 che ha esplorato in modo approfondito la rete di relazioni tra habitat, flora, fauna e attività economica. Dove l’economia non è più concepita come il solo dominio delle azioni antropiche, ma si allarga alla biosfera. Visto da questa prospettiva, il nostro modello di sviluppo attuale ha dei costi nascosti che non possiamo più ignorare. Secondo il rapporto, tra 1992 e 2014 il capitale materiale e il capitale umano pro capite sono cresciuti del 13%, mentre il capitale naturale è sceso del 40%.
Il ‘capitale naturale’ solo uno dei tanti indicatori della crisi ecologica in atto, quello con cui si cerca di gettare un ponte tra ecosistemi ed economia tradizionalmente intesa. L’Istat, da alcuni anni, pubblica un rapporto annuale sul Bes, un indice di Benessere equo e sostenibile. Nell’ultima edizione di aprile 2024, l’istituto rilevava che le misure che l’Italia ha messo in campo per accelerare la transizione ecologica non hanno prodotto ancora i risultati auspicati. Solo 4 dei 16 indicatori sull’ambiente sono migliorati nell’ultimo anno, mentre peggiorano tutti quelli sul clima.
La rete italiana per un’economia nature-positive
La prospettiva dell’economia della biodiversità è quella che innerva il Nature Positive Network, declinazione italiana di uno sforzo globale verso un’economia nature-positive che inverta la tendenza alla perdita di diversità biologica e degrado degli ecosistemi entro il 2030. Una scommessa conveniente anche solo se si prendono i parametri economici tradizionali.
Sempre secondo il World Economic Forum, l’implementazione su scala globale di politiche e iniziative per la tutela e il recupero dei sistemi naturali potrebbe portare alla creazione di 395 milioni di posti di lavoro entro il 2030 e generare circa 10mila miliardi di dollari di nuovo valore aziendale annuale. Mentre la Commissione UE stima che gli investimenti nel ripristino della natura aggiungono da 4 a 38 euro di valore economico per ogni euro speso.
“Il preoccupante peggioramento della crisi climatica e i rapidi tassi di riduzione del capitale naturale – ha dichiarato Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – possono essere affrontati con un approccio più efficace perché coordinato e integrato, in un’ottica nature positive. Il nuovo Regolamento europeo sul Ripristino della natura, appena approvato in via definitiva, prescrive l’obbligo di ripristinare un buono stato ecologico per gli ecosistemi degradati, con obiettivi fissati al 2030,2040 e 2050”.
Obiettivi che, tramite i Piani nazionali di ripristino contro la crisi ecologica, richiedono “un preciso monitoraggio delle situazioni di degrado degli ecosistemi e della biodiversità, un maggiore impegno nelle misure di ripristino che coinvolgeranno i nostri territori, diverse attività anche economiche, che richiederanno un ruolo più attivo anche delle nostre imprese” aggiunge Ronchi.
Come funziona il Nature Positive Network?
La rete – a cui per ora aderiscono 21 tra imprese, fondazioni e associazioni – organizza attività di sensibilizzazione e divulgazione, realizza ricerche, raccoglie e fa conoscere documentazione tecnica e casi di successo nazionali e internazionali. E ancora: supporta le imprese nell’identificazione di azioni concrete di ripristino di sistemi naturali e di tutela della biodiversità. Mette in dialogo i privati e gli enti di gestione del territorio sulle iniziative di ripristino della natura.
Sul sito del network sono disponibili alcune best practice contro la crisi ecologica portate a termine grazie al supporto di privati che hanno l’obiettivo di migliorare lo stato di salute degli ecosistemi. Si tratta di interventi che hanno ricostituito habitat originari e migliorato l’idoneità del territorio per specie rare o con popolazioni in declino. “Una prospettiva diversa e più articolata della semplice riforestazione finalizzata esclusivamente alla compensazione delle emissioni di CO2”, rimarca il Nature Positive Network in una nota.
Il territorio dove si concentrano le attività del network coincide grosso modo con il bacino del Po. Un’area dove si contano 5 Riserve MAB Unesco, 420 aree protette locali, regionali e nazionali, 684 siti della rete Natura 2000. Ma che al tempo stesso è anche una delle zone più densamente popolate d’Europa dove si genera oltre il 40 % del PIL italiano e il 55 % della produzione idroelettrica, è presente più della metà dell’industria zootecnica nazionale e si realizza circa il 35 % della produzione agricola del nostro Paese.