Il rapporto Living Planet 2024 presenta i dati sullo stato di salute di 35mila popolazioni di quasi 5.500 specie animali in tutto il mondo
Lo stato di salute degli ecosistemi globali sta raggiungendo punti di non ritorno pericolosi. Negli ultimi 50 anni, le oltre 35.000 popolazioni di quasi 5.500 specie di anfibi, uccelli, pesci, mammiferi e rettili sono crollate, in media, del 73%. In molti casi il calo arriva al 95%. Un indicatore chiaro del livello “allarmante” a cui è arrivata la crisi della biodiversità, avverte l’edizione 2024 del Living Planet Report, il rapporto biennale sulla diversità biologica globale curato dal Wwf e dalla Zoological Society di Londra.
Crisi biodiversità, i dati del Living Planet Report
Il declino delle popolazioni è il perno del Living Planet Index (LPI), un indicatore di allarme che riflette l’aumento del rischio di estinzione e della potenziale perdita di funzionalità e resilienza degli ecosistemi. Popolazioni di dimensioni troppo ridotte si possono tradurre nell’incapacità, per determinate specie, di svolgere la loro funzione nell’ecosistema in cui abitano. Con conseguenze di ampia portata, anche prima che si verifichi l’effettiva estinzione.
Dove si registra una crisi della biodiversità più forte? La flessione delle popolazioni è maggiore negli ecosistemi di acqua dolce (-85%), seguiti da quelli terrestri (-69%) e poi marini (-56%). Tra le minacce più frequenti alle popolazioni di specie selvatiche, il rapporto identifica la perdita e il degrado degli habitat (principalmente causati dai nostri sistemi alimentari), lo sfruttamento eccessivo, la diffusione di specie invasive e agenti patogeni. Il cambiamento climatico è ovviamente un altro dei fattori che incidono sulla crisi della biodiversità. A livello geografico, il calo è “impressionante” in America Latina e nei Caraibi, dove in media arriva al 95%.
I punti di non ritorno della biodiversità
Come nel caso del clima terrestre, anche la diversità biologica e gli equilibri degli ecosistemi hanno dei tipping point. Di cosa si tratta? “Sebbene alcuni cambiamenti possano essere di piccola portata e graduali, il loro impatto cumulativo può innescare un cambiamento più ampio e repentino”, spiega il rapporto. “Quando gli impatti cumulativi raggiungono una certa soglia, il cambiamento si autoalimenta, determinando una transizione spesso brusca e potenzialmente irreversibile”.
Wwf e Zoological Society individuano 4 segnali di un approssimarsi di punti di non ritorno:
- nella biosfera, l’estinzione di massa delle barriere coralline, con conseguenze su pesca e protezione dalle tempeste per le aree costiere,
- il degrado irreversibile della foresta amazzonica, che rilascerebbe quantità ingenti di carbonio nell’atmosfera con effetti sul clima globale,
- nella circolazione oceanica, il collasso del vortice subpolare, una corrente circolare a sud della Groenlandia, che cambierebbe drasticamente i modelli meteorologici in Europa e Nord America,
- nella criosfera, la fusione delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale comporterebbe un importante innalzamento del livello del mare, mentre la fusione su larga scala del permafrost causerebbe il rilascio di ingenti quantità di anidride carbonica e metano.
“Il sistema Terra è in pericolo, e noi con lui. Il Living Planet Report ci avverte che le crisi collegate alla perdita della natura e al cambiamento climatico stanno spingendo le specie animali e gli ecosistemi oltre i loro limiti. Le decisioni e le azioni dei prossimi cinque anni segneranno il futuro della nostra vita sul pianeta”, commenta Alessandra Prampolini, direttrice generale del Wwf Italia. “La parola chiave è trasformazione: dobbiamo cambiare il modo in cui tuteliamo la natura, trasformare il sistema energetico, il sistema alimentare, uno dei motori principali della perdita di biodiversità globale, il sistema finanziario, indirizzandolo verso investimenti più equi e inclusivi”, ha aggiunto.