
Almeno 20 miliardi di dollari l’anno entro il 2025 in finanza per la biodiversità da fonti internazionali. Che saliranno a 30 mld $ l’anno nel 2030. Una roadmap e un protocollo di monitoraggio stringenti, con una prima verifica già nel 2027. Un nuovo strumento, il Fondo Cali, per raccogliere risorse da aziende private, agribusiness e settore farmaceutico in testa. Sono i risultati più importanti della COP16 di Roma, che si è chiusa nella notte tra il 27 e il 28 febbraio.
“Oggi è una giornata storica”, ha affermato Susana Muhamad, presidente della COP16, festeggiando l’accordo raggiunto nella tarda serata del 27 febbraio. “Siamo riusciti ad adottare il primo piano globale per finanziare la conservazione della vita sulla Terra”, ha aggiunto durante la plenaria finale, ospitata nella sede della FAO a Roma.
Accordo storico perché scioglie il problema che aveva portato al fallimento della COP16 di Cali, in Colombia, alla fine del 2024: stabilire i dettagli di come mobilitare 200 miliardi di dollari l’anno in finanza per la biodiversità entro il 2030, come aveva stabilito il Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal (KMGBF) cioè l’accordo con gli obiettivi di biodiversità per il 2030.
Il pacchetto adottato prevede un’architettura finanziaria ibrida che combina strumenti pubblici, privati e filantropici, con l’obiettivo di colmare il gap stimato di 700 miliardi di dollari annui per la protezione degli ecosistemi in tutto il mondo.
Come era finita la COP16 di Cali nel 2024?
L’anno scorso, la conferenza in Colombia aveva trovato un accordo, ma non sul punto principale. Si era infatti conclusa con un sostanziale stallo sui temi finanziari, nonostante l’adozione di importanti decisioni tecniche sul monitoraggio degli ecosistemi.
Il nodo cruciale riguardava l’architettura istituzionale per raggiungere gli obiettivi del KMGBF. I paesi in via di sviluppo richiedevano l’istituzione di un nuovo fondo, vincolante, incardinato sotto l’ONU. I paesi sviluppati invece propendevano per il potenziamento della Global Environment Facility (GEF), il veicolo già esistente.
Mancavano decisioni chiave su diversi punti:
- i meccanismi precisi di finanziamento: la COP16 si era chiusa senza un piano concreto per mobilitare i 200 mld $ l’anno previsti dal KMGBF;
- come garantire equità tra Nord e Sud globali: restava disaccordo su come ripartire gli oneri finanziari e sul trattamento del debito ecologico;
- quale ruolo per il settore privato: mancavano strumenti normativi per coinvolgere imprese e attori privati in genere.
Questi ostacoli avevano reso necessaria una sessione negoziale straordinaria a Roma, una sorta di “COP16.2”, con l’obiettivo di sciogliere i nodi lasciati in sospeso.
Tutti gli accordi siglati alla COP16 di Roma sulla biodiversità
La svolta è arrivata con la COP16 di Roma. L’accordo sulla mobilitazione delle risorse passa per un pacchetto di provvedimenti che si articola su 4 pilastri.
Gli accordi della COP16 di Roma in sintesi
Strumenti finanziari ibridi | Si è deciso il consolidamento della GEF, ma come meccanismo transitorio, solo fino al 2027. Dal 2028 verrà istituito un nuovo meccanismo finanziario, per la cui creazione è stata decisa una procedura condivisa. Parallelamente, viene istituito il Fondo Cali per la condivisione dei benefici derivanti dalle sequenze digitali di risorse genetiche (DSI). E si sanciscono obblighi contributivi per le aziende che utilizzano DSI (nell’ordine dell’1-3% dei ricavi).
Roadmap finanziaria 2025-2030 | Come già accennato, a Roma le 196 delegazioni nazionali hanno pattuito di mobilitare, in flussi internazionali, 20 mld $ l’anno entro il 2025 e 30 mld $ nel 2030. Sono risorse che i paesi più sviluppati trasferiscono a quelli meno sviluppati. Inoltre, è prevista la mobilitazione di 150 mld $ l’anno da fonti domestiche.
Architettura istituzionale | La COP16 di Roma sancisce l’adozione dell’articolo 21 della CBD come base giuridica permanente. L’art.21 delinea il “meccanismo finanziario” necessario per raggiungere gli obiettivi sulla biodiversità. A Roma è stato anche creato un comitato tecnico per l’armonizzazione degli strumenti esistenti.
Equità intergenerazionale ed equilibri Nord-Sud| I negoziati hanno deciso di destinare il 50% delle risorse del Fondo Cali a popoli indigeni e comunità locali, trasferendo così risorse dalle aziende private alle categorie più fragili. Inoltre, sono stati istituiti meccanismi di partecipazione giovanile nella governance finanziaria.
Fondo Cali per la biodiversità: cos’è, come funziona, perché è importante
Il Fondo Cali serve per la condivisione più equa dei benefici che derivano dall’uso delle informazioni di sequenza digitale sulle risorse genetiche (DSI). Le DSI sono dati digitali che rappresentano le informazioni genetiche di organismi viventi, come piante, animali e microbi. Queste informazioni vengono ottenute attraverso il sequenziamento del DNA.
Cosa sono le DSI
Spesso le DSI sono generate da aziende del settore farmaceutico, cosmetico, nutraceutico e biotecnologico per creare nuovi farmaci, prodotti cosmetici e miglioramenti genetici per le colture. C’è quindi una forma di sfruttamento, di “colonialismo digitale”, dal momento che le risorse genetiche appartengono a paesi che spesso hanno limitate capacità di sfruttamento tecnologico.
Perché è importante il Fondo Cali
Il Fondo Cali rappresenta una rivoluzione nel diritto ambientale internazionale: incarna il principio di “chi inquina paga” applicato alla biodiversità. Come? Introduce per la prima volta obblighi contributivi vincolanti per le imprese che sfruttano commercialmente le risorse genetiche digitalizzate.
Come funziona il Fondo Cali
Il Fondo Cali è ancorato all’articolo 21 della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), già citato più sopra. Articolo che è stato rielaborato proprio durante i negoziati di Roma per includere esplicitamente i DSI.
La decisione adottata all’unanimità dai 196 Stati membri conferisce al meccanismo:
- carattere obbligatorio per tutte le entità commerciali che utilizzano DSI a scopo di lucro;
- automaticità dei versamenti tramite piattaforma blockchain tracciabile;
- sanzioni commerciali per i soggetti inadempienti.
Il fondo istituisce un regime fiscale che prevede 2 opzioni alternative:
- versare l’1% dei profitti lordi annui derivanti da prodotti/servizi basati su DSI;
- versare il 3% del fatturato per le aziende con ricavi superiori a 10 milioni di dollari l’anno.
Questi parametri, frutto di un compromesso tra paesi produttori (Brasile, India) e utilizzatori (Svizzera, UE), superano il precedente sistema volontario regolato dal Protocollo di Nagoya.
Chi deve contribuire al Fondo Cali?
L’obbligo si applica trasversalmente a:
- industria farmaceutica, con particolare riferimento alla ricerca su principi attivi naturali;
- biotecnologie agricole, incluse le società di editing genetico vegetale;
- cosmesi e nutraceutica, per l’uso di estratti digitalizzati;
- bioinformatica, relativamente ai database commerciali di sequenze genetiche.
Sono esclusi dall’obbligo:
- PMI con fatturato inferiore a 1 milione dollari l’anno;
- enti di ricerca no-profit;
- progetti con finalità di conservazione (ex articolo 8(j) della CBD).
La gestione del Fondo Cali è affidata a un consiglio tripartito composto da 15 rappresentanti governativi (5 per gruppo regionale ONU), 5 delegati del settore privato e 5 membri di comunità indigene accreditate presso l’ECOSOC.
Per cosa saranno usate le risorse del Fondo Cali?
Il 50% delle risorse è allocato prioritariamente a:
- programmi di conservazione gestiti da popoli indigeni;
- rafforzamento delle capacità tecniche nelle nazioni “megadiverse”, cioè più ricche di biodiversità;
- progetti di rimpatrio digitale delle sequenze genetiche.
Il restante 50% finanzia:
- il Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal;
- meccanismi di verifica tecnico-scientifica;
- piattaforme di condivisione open access per DSI non commerciali.
Le stime preliminari indicano una mobilitazione di 5-7 miliardi dollari l’anno entro il 2030. Sufficienti a coprire il 15% del fabbisogno finanziario del KMGBF. Integrando, così, i tradizionali flussi di aiuti.
Monitoraggio e roadmap
La COp16 di Roma ha stabilito meccanismi precisi per garantire monitoraggio e trasparenza al processo di tutela della biodiversità verso gli obiettivi 2030.
I delegati hanno adottato un sistema denominato PMRR (Planning, Monitoring, Reporting and Review), che introduce:
- indicatori armonizzati per misurare i progressi sui 23 target del KMGBF;
- una piattaforma unificata per integrare i dati governativi con quelli di attori non statali;
- una revisione scientifica indipendente delle metodologie di reporting.
La roadmap di attuazione dell’accordo di Roma della COP16.2 prevede, tra le tappe principali:
- la ratifica nazionale degli impegni finanziari entro settembre 2025;
- l’avvio operativo del Fondo Cali nel 1° trimestre 2026;
- il 1° rapporto globale sullo stato di attuazione nel 2027.
Il testo delle decisioni prese alla COP16