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Cop16 Biodiversità di Cali: i negoziati in Colombia partono in salita

L’85% degli Stati non ha ancora presentato i piani nazionali per la tutela della biodiversità richiesti per centrare gli obiettivi al 2030. Resta una spaccatura profonda tra Nord e Sud globale sulla finanza da mobilitare per proteggere la natura. Il summit si terrà dal 21 ottobre al 1° novembre

Cop16 Biodiversità: obiettivi, priorità e ostacoli del summit di Cali
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Tradurre in impegni, piani e strategie nazionali concrete i nuovi obiettivi 2030 approvati con il Global Biodiversity Framework di Kunming-Montreal (GBF). È lo scopo principale della Cop16 Biodiversità che inizia il 21 ottobre a Cali, in Colombia. Soprannominata “Cop dell’implementazione”, il vertice internazionale è la prima occasione per valutare i progressi globali nella tutela degli ecosistemi e della diversità biologica, e per tracciare una rotta concreta per migliorarli.

Cop16 Biodiversità: obiettivi del vertice di Cali

La presidenza del summit sulla biodiversità ha fissato 3 grandi obiettivi per la Cop16:

  • tradurre gli obiettivi del GBF in impegni nazionali ambiziosi e allineati ai target 2030,
  • finalizzare i meccanismi di attuazione,
  • adottare un accordo multilaterale sulla giusta ed equa condivisione dei benefici derivanti dall’uso di informazioni sulla sequenza digitale (DSI) sulle risorse genetiche, incluso un fondo globale.

La maggior parte degli Stati non ha ancora piani nazionali sulla biodiversità

Per il primo obiettivo, la strada è già in salita. Con il rischio di ripetere gli stessi errori che hanno portato il mondo a fallire tutti gli Aichi Targets, gli obiettivi globali sulla biodiversità con orizzonte 2020. Due anni fa, la Cop15 aveva stabilito che entro il 2024 gli Stati depositassero le loro strategie e i piani d’azione nazionali alla Convenzione sulla Diversità Biologica (CDB), l’ente che organizza il processo negoziale delle Cop sulla biodiversità. Quasi nessuno Stato ha rispettato l’impegno (che non è legalmente vincolante).

A metà ottobre 2024, sono solo 25 gli Stati che hanno presentato un piano nazionale (National Biodiversity Strategies and Action Plans, NBSAP). Ne mancano altri 170, circa l’85%. L’UE ha depositato il suo, così come ha fatto l’Italia inviando il testo della Strategia Nazionale sulla Biodiversità approvata alla fine del 2023.

Mancano, invece, quelli di oltre metà dei paesi G7. Non si sono visti i piani di 12 paesi “megadiversi” su 17, quegli Stati che ospitano da soli circa il 70% della diversità biologica globale. Tre dei paesi che ospitano l’Amazzonia – compresa la stessa Colombia che ospita la Cop16 Biodiversità – non li hanno depositati. Così come latitano anche i NBSAP dei 6 paesi su cui si sviluppa la foresta tropicale del Congo.

Monitorare la biodiversità (e la finanza mobilitata)

Proprio come nei negoziati sul clima che si terranno con la Cop29 di Baku a novembre, anche alla Cop16 di Cali il tema della finanza sarà al centro delle discussioni. C’è una spaccatura tra i paesi che vogliono conservare la struttura finanziaria per la biodiversità com’è adesso (UE e Nord globale) e i paesi che vogliono creare un nuovo fondo durante la Cop16 (il Sud globale).

Oggi la finanza per la biodiversità passa per il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF), che è stato istituito come parte del Global Environment Facility (GEF). I paesi in via di sviluppo lo ritengono poco legittimo e incapace di mobilitare la risorse necessarie. Propongono di sostituirlo con un fondo ad hoc basato su regole differenti.

Un punto che rischia di bloccare i negoziati sulla finalizzazione dei meccanismi di montoraggio. La Cop16 dovrà infatti definire i dettagli del quadro di monitoraggio, del meccanismo di pianificazione, rendicontazione e revisione delle azioni finanziate.

Il meccanismo per la condivisione delle risorse genetiche DSI

Un capitolo piuttosto tecnico ma con ricadute importanti a livello globale è quello che riguarda l’uso delle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche (DSI, Digitial Sequence Information). Di cosa si tratta? Oggi molte industrie, come farmaceutica, cosmetica, bioplastica, tessuti, mangimi per animali, analizzano versioni digitali del DNA per individuare geni utili per i loro prodotti. Le sequenze utili così individuate vengono digitalizzate, creando una DSI. Se le DSI restano di proprietà delle aziende multinazionali, si va verso una privatizzazione di fatto della natura e della biodiversità. Regolare l’uso di DSI è anche un modo con cui raccogliere risorse finanziarie importanti per la tutela della diversità biologica.

 La Cop16 Biodiversità dovrà proseguire le discussioni su come garantire che i benefici estratti dall’uso di DSI siano condivisi con i paesi di origine. E come i guadagni realizzati grazie a DSI vengano condivisi e impiegati per gli obiettivi 2030 sulla biodiversità.

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About Author / Lorenzo Marinone

Scrive per Rinnovabili dal 2016 ed è responsabile della sezione Clima & Ambiente. Si occupa in particolare di politiche per la transizione ecologica a livello nazionale, europeo e internazionale e di scienza del clima. Segue anche i temi legati allo sviluppo della mobilità sostenibile. In precedenza si è occupato di questi temi anche per altri siti online e riviste italiane.