A Ginevra c’è ancora una distanza siderale tra l’ammontare di denaro necessario per tutelare la diversità biologica al 2030 e le promesse degli Stati. Senza soldi, gli obiettivi sono irraggiungibili. E senza un buon pre-accordo oggi, la conferenza finale di aprile, a Kunming, rischia di non riuscire a trovare la quadra
Domani si chiudono i negoziati preliminari per la COP15 sulla biodiversità
(Rinnovabili.it) – A meno di sorprese all’ultimo minuto, anche l’ultima tornata di negoziati in vista della COP15 sulla biodiversità non farà passi avanti significativi. Tutti d’accordo sugli obiettivi generali. Ma appena bisogna metter delle cifre nero su bianco, l’atmosfera a Ginevra cambia. Nella città svizzera si sta chiudendo la due settimane di discussioni per trovare un’intesa in ambito Onu su un accordo globale per la protezione della diversità biologica. La deadline è domani e, a quanto si apprende, il problema principale resta lo stesso di 15 giorni fa: chi paga, e quanto deve sborsare?
COP15 sulla biodiversità: chi paga?
“La mobilitazione delle risorse in questa riunione è diventata una questione spinosa”, confida all’Afp l’accademico ghanese Alfred Oteng-Yeboah, che ha giocato un ruolo chiave negli sforzi internazionali per proteggere la biodiversità. “È un atto di bilanciamento. A livello globale il denaro è sempre stato un problema”.
Lo scenario è la copia carbone di quello che va regolarmente in scena durante i negoziati sul clima. I paesi più ricchi frenano sulle cifre e tendono a non mantenere le promesse, mentre quelli in via di sviluppo spingono perché passi un principio di equità e si paghi in modo proporzionale al danno fatto. Alla COP26 l’accordo finale fa persino fatica a nominare l’espressione “finanza climatica”. Alla COP15 sulla biodiversità non c’è chiarezza su quanti soldi mobilitare e in che forma.
Il testo su cui si sta discutendo cita, come obiettivo, “reindirizzare, riallocare, riformare o eliminare gli incentivi dannosi” per l’ambiente, riducendoli di almeno 500 miliardi di dollari l’anno. A cui si devono aggiungere altri 200 miliardi l’anno (entro il 2030) di finanziamenti ex novo. I finanziamenti internazionali destinati ai paesi in via di sviluppo sarebbero poi da aumentare di 10 miliardi di dollari l’anno.
Quanto denaro serve?
Sono le proverbiali briciole rispetto alla quantità di denaro di cui c’è bisogno per raggiungere gli obiettivi di conservazione che si è posta la COP15 sulla biodiversità: proteggere il 30% delle terre e dei mari entro il 2030. Secondo una stima pubblicata su The Nature nel 2020, l’ammontare necessario supera i 950 mld l’anno entro il 2030 – includendo il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi (sad). E il gap rispetto al denaro messo oggi a disposizione è la cifra monstre di 850 miliardi.
È fattibile? A febbraio, un rapporto di B Team stimava i sad in 1.800 mld di dollari l’anno (il 2% del Pil globale), di cui l’80% diretto a fossili, acqua e agricoltura. E diceva che se ne potrebbero tagliare facilmente 700 mld. L’obiettivo sarebbe ancora più a portata se i paesi più ricchi facessero la loro parte, sostiene una coalizione di gruppi ambientalisti. Il “Nord globale” dovrebbe mettere sul piatto almeno 60 mld l’anno, sostengono, in gran parte da destinare ai paesi in via di sviluppo. La cifra riflette l’impatto negativo sulla biodiversità della quota di commercio globale che dipende direttamente dai paesi benestanti.