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La conservazione delle foreste non può passare dalla logica di mercato

15mila scienziati da 120 paesi pubblicano uno studio, coordinato dall’International Union of Forest Research Organizations (IUFRO), che valuta l’efficacia degli strumenti usati in tutto il mondo per tutelare le foreste. Dal 2010 a oggi si sono moltiplicate le iniziative che applicano logiche di mercato. Ma promuovono interventi di breve respiro, che non tengono conto della sostenibilità degli ecosistemi, né tantomeno delle ripercussioni socio-economiche sulle comunità locali

Conservazione foreste: la logica di mercato fa più danni che altro
Foto di Lou Levit su Unsplash

Serve un “ripensamento radicale” della governance internazionale della conservazione delle foreste

I meccanismi di conservazione delle foreste basati sul mercato non funzionano. Né per l’ambiente, né per le persone. Serve un “ripensamento radicale” degli strumenti e della loro governance. In grado di rendere più trasparenti – e quindi misurabili – i risultati. Sia per quanto riguarda il sequestro di CO2 e i benefici per la biodiversità, sia per le ripercussioni socio-economiche sulla popolazione locale.

Lo afferma la più completa valutazione globale dell’efficacia delle iniziative di conservazione delle foreste in tutto il mondo mai svolta finora, coordinata dall’International Union of Forest Research Organizations (IUFRO) e condotta da 15.000 scienziati di 120 paesi.

Cosa non funziona nella conservazione delle foreste oggi

I successi di questi strumenti nel rallentare la deforestazione restano limitati e spesso difficili da misurare. Qualche passo avanti si registra nella conservazione delle foreste tropicali, ma in generale il quadro è fatto più di ombre che di luci. Il problema principale è la spina dorsale del sistema che si sta affermando: un ventaglio disordinato e senza coordinamento internazionale di strumenti che seguono leggi di mercato.

Questa “mercificazione” delle foreste per il loro valore come pozzi di carbonio, spiega il rapporto, è deleteria. “La crescente urgenza della crisi climatica ha influenzato la mercificazione delle foreste per il loro potenziale di sequestro del carbonio. Ciò ha portato alla nascita di nuovi mercati per il carbonio e la biodiversità che spesso si concentrano sui guadagni economici a breve termine piuttosto che sulla sostenibilità e sulla giustizia a lungo termine”, sottolinea Nelson Grima, vice coordinatore del gruppo di lavoro che ha prodotto lo studio.

Il rapporto sottolinea che è necessario valutare lo stato di conservazione delle foreste con un metro di giudizio che non si limiti al tasso di deforestazione. Da questo punto di vista i progressi ci sono: dai 13 mln di ettari l’anno del 2010 si è scesi a livello mondiale ai 10 mln del 2020. Ma il boom di strumenti bilaterali e unilaterali e l’emergere di sistemi (come il REDD+) che usano come bussola le richieste del mercato hanno creato danni su altri fronti. “Né il numero di ettari, né il tasso di deforestazione consentono affermazioni incentrate sugli effetti ecologici, economici o sociali” della governance internazionale delle foreste, sottolinea il rapporto.

Effetti, questi, che è difficile far rientrare nell’equazione se continuerà la tendenza alla finanziarizzazione delle foreste. Le iniziative finanziarie che danno peso alle esigenze delle popolazioni locali – le iniziative filantropiche, o quelle guidate dalle comunità locali – restano quanto mai rare. Altrettanto importante è cambiare il discorso attorno all’importanza delle foreste. Oggi, secondo il rapporto, viviamo una “climatizzazione” delle risorse forestali: vengono cioè valutate per il loro potenziale di mitigazione della crisi climatica. Lasciando ben poco spazio alle altre dimensioni sociali, economiche e di giustizia.

Questa forma di mercificazione, conclude il rapporto, “depoliticizza le questioni e sposta i discorsi politici in un’arena economica dove benefici e guadagni governano” la gestione internazionale delle foreste, seguendo una “logica win-win che spesso promette efficacia in termini ecologici, economici e sociali”. Ma questi benefici multipli, rimarcano gli autori, sono “messi in discussione da una moltitudine di studi e dalle parti interessate”.

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