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A rischio il Cerrado brasiliano, patrimonio di biodiversità

Cerrado

di Isabella Ceccarini

(Rinnovabili.it) – Il Cerrado è un territorio di savane e foreste che comprende parti di Brasile, Paraguay, Bolivia e foresta amazzonica. Furono i primi esploratori a definirlo “cerrado”, ovvero “chiuso”, perché coperto da un’intricata vegetazione. Per avere un’idea della sua estensione è grande circa quanto Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Spagna messe insieme. Il suo livello di biodiversità è altissimo: qui vive circa il 5% di tutte le specie del Pianeta, comprese piante che non esistono in nessun’altra parte del mondo

Da anni ci si batte in difesa della conservazione dell’Amazzonia, ma la distruzione del Cerrado (che occupa circa il 20% del Brasile) non gode della stessa attenzione. Dal 2008 a oggi il Cerrado ha avuto un tasso di deforestazione superiore del 50% rispetto a quello dell’Amazzonia, con un’incalcolabile perdita in termini di biodiversità. Inoltre, qui vivono gruppi indigeni originari che si vedono minacciati dalla devastazione del loro territorio. La causa di questa catastrofe ambientale è nelle coltivazioni intensive di soia destinate all’allevamento industriale del bestiame. Se la distruzione del bioma Cerrado danneggia i bacini idrografici e mette in pericolo la fauna selvatica, i suoi effetti influenzano la vita di tutto il Pianeta perché contribuiscono al riscaldamento globale.

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Pochi anni fa i produttori agricoli e gli allevatori acquistarono i terreni del Cerrado. Hanno incendiato gli alberi da frutto, le palme e il resto della vegetazione per piantare i semi di soia, bruciando un’area più grande della Corea del Sud. Il Brasile è diventato il più grande esportatore mondiale di soia, manzo e pollo e un importante produttore di mais e maiale. Questo fenomeno ha spostato l’attenzione dalla foresta amazzonica al Cerrado, avviandone la distruzione e prosciugandone le risorse idriche fino a indebolire le sorgenti dei fiumi. È in questa regione che nascono grandi fiumi come il Rio delle Amazzoni, il Paranà-Paraguay e il São Francisco.

Proprio il São Francisco nella stagione secca ha toccato livelli minimi senza precedenti. La particolarità di questa zona è che le piante hanno radici molto profonde utili a sopravvivere alla siccità stagionale e creare un substrato umido fondamentale per l’equilibrio idrico. Distruggere la vegetazione di superficie fa morire non solo le piante, ma quel reticolo di radici profonde che rende possibile mantenere le riserve d’acqua

Le cause economiche spingono sull’acceleratore, e in pochi anni hanno trasformato il Brasile da importatore a esportatore. È diventato il fornitore principale di soia per la Cina, che è anche un importante acquirente di maiale, manzo e pollame. Il governo favorisce l’agricoltura industriale e promuove l’impiego di fertilizzanti e additivi per lo sfruttamento intensivo del terreno. Con l’Accordo di Parigi (2015), il Brasile si era impegnato a eliminare la deforestazione illegale dell’Amazzonia entro il 2030: gli agricoltori locali per legge devono preservare l’80% della vegetazione autoctona.

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Regole che però non valgono per il Cerrado: qui c’è l’obbligo di preservare appena il 20% (35% se limitrofi all’Amazzonia). In più, se il terreno non è sfruttato a dovere, il governo può toglierlo ai proprietari per darlo di contadini più poveri. In pratica, un incentivo allo sfruttamento. Rimane da chiedersi nel medio-lungo periodo quale sarà l’entità di danni ritenuti irreparabili.

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