Proteggere la biodiversità è necessario per tutelare le nostre economie dall’incertezza
(Rinnovabili.it) – Le nostre economie non hanno futuro se non si basano sul rispetto della biodiversità e degli ecosistemi. E il PIL è insufficiente, servono soluzioni radicali e radicali cambiamenti nei nostri modelli di vita. Perché “siamo parte della natura, non siamo separati da essa”. Affermazione tanto banale quanto inascoltata, per come il modello di progresso e di sviluppo portato avanti a livello globale continua a ignorare l’importanza della tutela delle risorse naturali. E’ con queste parole che si apre un importante studio commissionato dal ministero delle Finanze inglese sull’economia della biodiversità.
Il rapporto – una revisione della versione precedente che risale al 2006 – dà sostanza all’urgenza di ottenere risultati soddisfacenti nei negoziati internazionali che si svolgeranno nel 2021: la COP26 di Glasgow, che sarà organizzata da Londra insieme all’Italia, e la COP15 di Kunming in Cina dedicata specificamente alla biodiversità.
Nel documento vengono riassunte tutte le premesse che descrivono lo stato di salute del pianeta e gli impatti principali dell’attività dell’uomo. A partire dalla constatazione che ad oggi consumiamo risorse naturali ad un ritmo del 50% più veloce di quello con cui la natura riesce a ripristinarle.
E mette nero su bianco l’importanza di agire al più presto in modo incisivo per evitare scossoni economici di portata difficile da stimare. Non uno sforzo facile, tutt’altro. Il rapporto inglese conclude che serve un impegno paragonabile a quello profuso con il piano Marshall con cui l’Europa si curò le ferite profonde lasciate dalla seconda guerra mondiale.
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“L’umanità deve affrontare una scelta urgente”, scrivono gli autori. “Continuare lungo il nostro percorso attuale presenta rischi estremi e incertezza per le nostre economie. La scelta di un percorso sostenibile richiederà un cambiamento trasformativo, sostenuto da livelli di ambizione, coordinamento e volontà politica affini o addirittura superiori a quelli del Piano Marshall”.
Sono necessari cambiamenti globali radicali al modo in cui produciamo e consumiamo, così come alla finanza e all’istruzione, si legge tra le conclusioni del documento di oltre 600 pagine. Le organizzazioni internazionali devono tutelare in modo efficace gli ecosistemi, perché molti sono vicini ad un punto di non ritorno. E gli autori sottolineano che il Covid-19 è solo la punta dell’iceberg: la minaccia di nuove pandemie è dietro l’angolo, il 2020 ha mostrato quello che ci potrebbe riservare il futuro se continuiamo a devastare gli habitat di molte specie animali. Agricoltura e allevamento svolgono un ruolo importante. Via i sussidi se non vincolati a pratiche sostenibili, ma anche un tetto al consumo di carne.
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Il rapporto propone poi una vera rivoluzione copernicana nel modo in cui concepiamo le nostre economie. Il PIL è uno strumento difettoso e anzi dannoso, perché tiene conto solo dei flussi di denaro e non degli stock nazionali. Stock nei quali, propone il documento, dovrebbe essere incorporato anche il capitale naturale.
In generale, l’idea sottesa all’intero rapporto è quella di assegnare un valore monetario non solo alle risorse ma anche al loro uso e alla loro tutela. L’Amazzonia è un bene globale, si legge, quindi chi la protegge dovrebbe essere pagato per farlo. In modo simile dovrebbe pagare chi vuole sfruttare le risorse degli oceani, che sfuggono alla giurisdizione degli Stati. Insomma, la direzione non sarebbe quella di sconvolgere del tutto il sistema attuale ma di applicare una serie di correttivi al mercato e alla sua logica, che si fondano però sempre su alcune dinamiche economiche. “Separare la natura dal ragionamento economico significa implicare che ci consideriamo esterni alla natura. La colpa non è nell’economia; sta nel modo in cui abbiamo scelto di praticarlo”, chiarisce il documento.