Servono più risorse finanziarie per arginare la crisi della biodiversità, ma bisogna anche “ripensare in grande” le regole dell'economia e come queste stiano guidando la sesta estinzione di massa
Uno studio analizza i fattori economici che frenano la tutela della biodiversità
(Rinnovabili.it) – Lo strumento principale per difendere la biodiversità si basa su un approccio zoppicante, che non risolve i problemi strutturali alla base della perdita di diversità biologica a cui stiamo assistendo. L’unico modo per uscire da questo tunnel è un cambiamento radicale. Ne sono convinti i ricercatori della Lancaster University, dell’University of British Columbia e della Duke University che hanno passato al setaccio la Convenzione sulla Diversità Biologica, il trattato internazionale che detta il passo su questo tema.
Il problema non è la Convenzione in sé, ma il fatto che i suoi obiettivi sono irraggiungibili visto il funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Lo studio individua i fattori principali che frenano la protezione della biodiversità: le regole commerciali esistenti, le politiche economiche, il carico del debito, i sussidi e le scappatoie fiscali, nonché il fallimento di lunga data dei paesi ricchi nel rispettare gli impegni di spesa, sono tutti elementi che concorrono nell’aggravare i danni ecologici.
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La soluzione proposta dai ricercatori è piuttosto lineare: finora il sistema economico non ha tenuto conto della natura, si tratta di capire come portare la natura all’interno del perimetro del gioco economico. Non basta quindi aumentare gli stanziamenti a favore della protezione della diversità biologica, bisogna intervenire sugli elementi che frenano.
In particolare, lo studio mette in evidenza l’importanza di cancellare i sussidi per tutte quelle attività che hanno impatti deleteri sulla biodiversità: il volume di denaro mobilitato da queste sovvenzioni pubbliche diminuisce enormemente l’efficacia dei finanziamenti per le iniziative di tutela. Un accento è messo anche sull’esistenza di legami stretti fra le diseguaglianze sociali ed economiche in molti paesi del Sud del mondo e l’erosione della biodiversità in atto in quei territori, alimentata da pratiche estrattiviste da parte delle fasce più abbienti e delle élite politico-economiche.
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Per Jessica Dempsey dell’Università della British Columbia lo studio dimostra che ” non solo sono necessarie maggiori risorse finanziarie per arginare la crisi della biodiversità, ma abbiamo bisogno di un ripensamento più ampio su come le regole dell’economia stiano guidando la sesta estinzione di massa. Dobbiamo esaminare con attenzione fattori come la politica fiscale e sulla proprietà intellettuale, e persino le idee che guidano il funzionamento dell’economia globale, come cosa significa per i governi essere “finanziariamente responsabili” quando l’austerità ha una scarsissima esperienza nel fornire buoni risultati ambientali”.