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Occasione mancata alla COP15, sulla biodiversità il mondo dorme ancora

Tra gli impegni quello di invertire il processo di degrado della natura entro il 2030 e di proteggere almeno il 30% delle terre e degli oceani. Il documento finale però non è vincolante e non contiene scadenze, tabelle di marcia né cifre precise.

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Il vertice sulla biodiversità approva la Dichiarazione di Kunming

(Rinnovabili.it) – Solo impegni vaghi e generali, senza obiettivi specifici né date. La prima metà della COP15, il vertice internazionale sulla tutela della biodiversità, lancia un segnale molto, troppo debole. Il documento conclusivo siglato da più di 100 paesi è la dichiarazione di Kunming: nelle intenzioni di Pechino, alle prese con il suo primo summit globale su temi ambientali, doveva avvicinarsi all’accordo sul clima di Parigi per ambizione e risultati. Le cose sono andate altrimenti.

Cosa ha deciso la COP15 di Kunming

Primo punto chiave: la Dichiarazione di Kunming non è un trattato internazionale ma un documento che esprime solo la “volontà politica” dei contraenti. Secondo: dal testo mancano i riferimenti a tutti i temi più spinosi, che sono stati lasciati direttamente fuori dalla porta alla COP15. Di che si tratta? Dei finanziamenti ai paesi più vulnerabili per le azioni di conservazione della biodiversità – tema che, nella sua declinazione climatica, sarà invece al centro della COP26 – e di rendere le catene di distribuzione più sensibili alle esigenze di tutela della diversità biologica.

L’aspetto più ambizioso citato nella Dichiarazione non è frutto del summit cinese ma arriva da più lontano. È l’obiettivo di estendere forti tutele ambientali ad almeno il 30% delle terre e degli oceani in tutto il mondo entro il 2030. Lo appoggiano molti paesi ma non la Cina padrone di casa, che ha già faticato a raggiungere il 18% di territorio inserito in riserve naturali di oggi.

Perché è complicato fare un accordo sulla biodiversità?

In realtà le disquisizioni attorno a questo obiettivo dicono molto delle difficoltà che deve affrontare qualsiasi negoziato sulla biodiversità. C’è chi sostiene che bisogna puntare al 30% a livello globale per indicare una direzione chiara, ma c’è anche chi fa notare che ha poco senso un target uguale per tutti: in alcuni paesi, come il Brasile, significherebbe aprire la porta a più deforestazione ancora.

Problemi di questo tipo ammantano ogni ragionamento sulla tutela della biodiversità. A differenza del clima, infatti, i sistemi naturali che determinano e sostengono la diversità biologica hanno un livello di complessità maggiore e sono meno compresi dalla scienza. È anche più difficile fissare dei criteri di valutazione sensati, impostare un monitoraggio intelligente, dare la giusta flessibilità all’impalcatura di un accordo internazionale di questa portata.

Tutti elementi che spiegano bene perché il tema della biodiversità riscuote molto meno interesse da parte degli Stati, e perché la COP15 è passata in sordina rispetto alla COP26 di Glasgow che inizierà il 1° novembre.

Le reazioni del mondo ambientalista

Nonostante tutte queste difficoltà, c’è molta delusione per l’esito della COP15 nel mondo ambientalista. Il prossimo appuntamento è il 25 aprile 2022, questa volta in presenza. Ma su basi così fragili è probabile che il risultato finale non sarà molto più ambizioso.

Mancano i dettagli, sottolinea Greenpeace: “Sebbene obiettivi ambiziosi come la protezione di almeno il 30% delle aree terrestri e marine entro il 2030 siano importanti, le strategie di attuazione e i mezzi reali per raggiungere tali obiettivi sono fondamentali”. A cui fa eco anche il WWF: “Sebbene sia altamente significativo che l’obiettivo sia quello di rimettere la natura sulla via del ripristino entro il 2030, i suoi impatti risiederanno nel modo in cui viene messa in atto. È ancora fondamentale per i governi trasformare queste parole in realtà”.