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Biodiversità: rischio estinzione per 100 specie di uccelli a causa del commercio internazionale

Una ricerca mette in correlazione l'aumento di specie di uccelli a rischio e le pratiche di delocalizzazione nella produzione agricola e di bestiame.

uccelli estinzioneNei prossimi anni, potrebbero scomparire 121 varietà di uccelli, cifra in aumento del 7% nei primi 10 anni del nuovo millennio

 

(Rinnovabili.it) – Circa 100 specie di uccelli si estingueranno a causa delle attuali pratiche di allevamento e silvicutura: un numero in crescita esponenziale, secondo i dati di una ricerca scientifica recentemente pubblicata sulla rivista Nature Ecology&Evolution.

La percentuale di crescita delle specie di volatili a rischio è cresciuta del 7% tra il 2000 e il 2011. Se non dovessero essere assunte misure per contenere il fenomeno, i ricercatori stimano in 121 le varietà di uccelli destinate all’estinzione nell’immediato futuro. Una cifra enorme se si considera che negli ultimi 400 anni, a partire dal XVI secolo, le specie di volatili scomparse sono state “solo” 140.

 

La ricerca sottolinea come buona parte dei danni ambientali che minacciano le specie animali sia ascrivibile al commercio internazionale: solo nel 2011, circa un terzo (il 33%) dell’impatto sulla biodiversità dell’America centro meridionale e un quarto (26%) di quello sulla varietà di organismi presenti in Africa è stato generato dalla produzione di prodotti consumati poi in altre parti del mondo.

 

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Nel complesso, l’allevamento del bestiame resta la pratica più impattante sulla biodiversità, ma è la produzione di sementi oleosi, come ad esempio le coltivazioni di olio di palma, a mostrare il maggior tasso di crescita e diffusione.

 

“Dobbiamo dare ai consumatori maggiori informazioni così che possano capire esattamente cosa stanno acquistando”, ha commentato il professor Henrique Pereira autore dello studio presso il German Centre for Integrative Biodiversity Research (iDiv) di Lipsia, in Germania.

“Dobbiamo rivedere i modelli di consumo insostenibili guidati dalla crescita economica – ha aggiunto Alexandra Marques, coautrice dello studio – Le scelte che compiamo qui (nei Paesi industrializzati, ndr.) avranno conseguenze altrove”.

 

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