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Bio-diversamente efficienti al 2020?

Gli accordi presi alla COP11 di Hyderabat segnano un passo avanti per alcuni e non sono per nulla risolutivi per altri; la biodiversità sembra essere ancora l’ultima priorità dei vari Paesi

Le risorse per la tutela della biodiversità devono essere raddoppiate entro il 2015. È questo l’accordo con cui si è chiusa l’undicesima Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica (CBD) di Hyderabad, in India, incentrata quest’anno nella ricerca di sistemi di gestione e di finanziamento efficaci, con cui contrastare la vulnerabilità degli ecosistemi. I Governi mondiali, infatti, hanno deciso di aumentare i fondi destinati a sostenere non solo tutte le azioni capaci di fermare il tasso di perdita della biodiversità, ma anche gli sforzi dei Paesi in Via di Sviluppo verso il raggiungimento degli obiettivi concordati a livello internazionale con il Piano Strategico 2011-2020. Si tratta di risultati che, arrivando in un periodo di crisi economica, danno una valenza strategica maggiore all’impegno dei governi, oggi impegnati a guardare alla biodiversità come a un’opportunità e non come un problema da risolvere; il messaggio che essi hanno lanciato in maniera univoca identifica la biodiversità e gli ecosistemi come elementi prioritari nella transizione verso un’economia verde. Da qui, la decisione di includere nuove misure per il fattore biodiversità anche nelle Valutazioni di Impatto Ambientale per la realizzazione di progetti o infrastrutture nelle aree marine o costiere.
Secondo quanto stabilito a Hyderabad, dunque, entro il 2015 il trasferimento finanziario dai Paesi Sviluppati a quelli in Via di Sviluppo deve raddoppiare rispetto ai valori riferiti al periodo 2006-2010, passando dai 5 ai 10 miliardi di dollari; per conseguire questo obiettivo, oltre a predisporre piani finanziari nazionali ad hoc, i governi dovranno garantire entro il 2020 la biodiversità al 10% delle aree marine protette (che, stando a quanto segnalato dal rapporto Protected Planet 2012 dell’UNEP, nonostante siano aumentate del 60% rispetto ai valori del 1990, più della metà sarebbero prive di protezione), e destinare una parte dei fondi alla corretta gestione dei rifiuti marini, della pesca e, soprattutto, degli impatti provocati dai cambiamenti climatici.
Come fare per raggiungere tali obiettivi?
Sia definendo piani di azione nazionali ad hoc (un aiuto in questo senso è arrivato dall’Economics of Ecosystems and Biodiversity Initiative dell’UNEP, che ha predisposto per i governi una serie di guide pratiche per integrare nei piani in questione il valore economico, sociale e culturale degli ecosistemi, coinvolgendo anche i principali settori economici, come le organizzazioni imprenditoriali), sia promuovendo la cooperazione tecnica e scientifica tra i vari Paesi, operazione che sarà facilitata dal National Biodiversity Strategies and Action Plans, il Forum online istituito da UNEP, CBD, Global Environment Facility e UNDP per garantire una più immediata circolazione delle informazioni.

 

La perdita della biodiversità, dunque, è un problema globale che richiede uno sforzo globale, ma all’entusiasmo europeo dell’Unione, convinta che la questione controversa della mobilitazione delle risorse sia stata risolta in modo accettabile e definitivo per tutte le Parti, non corrisponde un’altrettanta soddisfazione da parte degli addetti ai lavori, inclini a vedere le falle di quei meccanismi che di sicuro non considerano la biodiversità come una priorità a livello globale. Sull’inefficienza e l’inefficacia di certe manovre ci mette in guardia il Direttore Politiche di Conservazione Internazionali del WWF Italia, Isabella Pratesi, alla quale abbiamo chiesto un giudizio sull’esito di questi negoziati.
«Il giudizio è fiacco – ha commentato la Pratesi – ma lo sapevamo. Sono mancati una regia e un impegno effettivo e concreto delle parti a dimostrazione di quanto la biodiversità sia l’ultima delle priorità dei vari Paesi del Pianeta».
Per l’associazione ambientalista, il mantra con cui i Governi hanno tentato di trovare un accordo per proteggere le risorse naturali del nostro pianeta è “mestamente lento” e la falla di sistema è ancora una volta sulla finanza. Per raggiungere gli obiettivi previsti, infatti, il WWF considera insufficienti i 10 miliardi di dollari all’anno da qui al 2020.
«Ne servirebbero almeno 200 di miliardi di dollari all’anno – ha spiegato la Pratesi – una cifra per nulla onerosa visto che rappresenta meno del 9% della spesa militare mondiale e una “non spesa” che ci porterà a crisi molto gravi contabilizzate in 6 miliardi di dollari all’anno di costi».
A essere deteriorato per Isabella Pratesi è un patrimonio posto alla base della nostra vita. «Il WWF è arrivato a Hyderabad chiedendo ai Governi di porre il mondo su un percorso in grado di prevenire ulteriori perdite per le risorse naturali più importanti del pianeta, e abbiamo visto qualche successo – ha detto – ma l’accordo raggiunto sulla finanza è un risultato deludente, perché non si avvicina minimamente alle cifre necessarie per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di tutela della biodiversità che il mondo ha proclamato due anni fa a Nagoya».
Il percorso verso il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla COP11 sarà riesaminato nel 2014. Ciò che oggi sembra chiaro è quanto meno l’impegno necessario da parte di tutti, sperando che la crisi economica in atto non scoraggi e non rappresenti una giustificazione per la non azione.