(Rinnovabili.it) – La Grande Barriera corallina potrebbe essere finalmente inclusa nella lista dei “Siti Patrimonio Mondiale in Pericolo” delle Nazioni Unite, in seguito al devastante fenomeno di sbiancamento che ha subito quest’anno. Scienziati, avvocati e ONG chiedono da tempo che il Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO compia questo passo. Finora, però, l’Australia si è sempre messa di traverso per tutelare i suoi interessi – il turismo e l’espansione dell’industria inquinante – evitando così di dover sborsare soldi per tutelare il reef.
La galassia dell’ambientalismo internazionale aveva avanzato questa richiesta già l’anno scorso, ma non era stata accolta. Il Comitato aveva preferito prendere tempo fissando come scadenza il 1 dicembre del 2016. Entro quella data l’Australia avrebbe dovuto stilare un report dettagliando i progressi ottenuti nella conservazione della barriera e i fondi dedicati per raggiungere gli obiettivi al 2050 sull’inquinamento delle acque.
Ma nel report l’Australia dovrà necessariamente inserire gli eventi disastrosi che hanno devastato la Grande barriera corallina in questi ultimi mesi. Vale a dire il peggior sbiancamento del reef mai visto, che ha colpito oltre 500 scogliere da Cairns a Papua Nuova Guinea risparmiandone solo 4. Una morìa di massa innescata dal riscaldamento globale, dall’acidificazione degli oceani e dall’immobilismo del governo di Canberra nel prendere una posizione netta. Così a giugno una ricerca ha constatato che l’acqua troppo calda ha ucciso un terzo dei coralli nel settore settentrionale e centrale del reef, al largo della costa nord-orientale dell’Australia.
Insomma, la situazione è così drammatica – scommettono gli scienziati – che l’Australia non potrà “dimenticarsi” di citarla nel suo report, e il Comitato dovrà quindi agire di conseguenza. Inoltre gli investimenti di Canberra sono giudicati del tutto inadeguati per proteggere il sito in modo adeguato: secondo le stime degli scienziati servirebbero tra i 10 e i 16 miliardi di dollari, e servirebbero subito. Con queste premesse, una nuova riunione del Comitato nel 2017 potrebbe rendere ufficiale l’iscrizione del reef nella lista dei siti in pericolo.