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Banche e clima: ecco chi finanzia il riscaldamento globale

riscaldamento globale

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(Rinnovabili.it) – Anche le più grandi banche del mondo hanno sentito puzza di bruciato. Il riscaldamento globale non è uno scherzo, e i loro profitti potrebbero risentirne. Tanto che nel 2016 hanno ridotto a 87 miliardi di dollari i loro prestiti a sostegno di investimenti in settori ad alta intensità carbonica. Nel 2015 erano 111. La cifra è tutt’ora estremamente alta, ma il calo sensibile è un segno positivo secondo il nuovo rapporto Banking on Climate Change, pubblicato da quattro organizzazioni ambientaliste.

Il dossier analizza i prestiti delle prime 37 banche private del mondo ai progetti più rischiosi a livello finanziario, impattanti sull’ambiente e sul clima. In pratica, prende in esame l’estrazione di petrolio in Artico e in acque profonde, le sabbie bituminose, le miniere di carbone, le centrali termoelettriche e l’export di gas naturale liquefatto.

Sotto la lente finiscono anche le policy degli istituti finanziari sul rispetto dei diritti umani. In particolare, piovono critiche sulla debolezza di questi strumenti, che non hanno impedito ad alcuni di loro di garantire prestiti alle imprese impegnate nella costruzione del Dakota Access (DAPL), maxi-oleodotto contestato con tutte le forze dai popoli indigeni del Nord Dakota.

 

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Se al top della classifica torreggiano due banche cinesi (Bank of China e China Construction Bank) e una statunitense (JP Morgan), con cifre intorno ai 6-8 miliardi di dollari destinate a progetti impattanti, al 30 esimo posto c’è spazio anche per l’italiana Unicredit. L’istituto si pone in controtendenza rispetto all’andamento generale, con riscaldamento globaleun aumento dei prestiti ad investimenti inquinanti quasi doppio rispetto all’anno prima (da 550 milioni a 960). In totale, 12 delle 37 banche più grandi al mondo hanno seguito la strada di Unicredit, nonostante le disposizioni dell’Accordo di Parigi.

Se si opera invece una suddivisione per tipo di progetti, si nota che le banche cinesi prediligono il carbone, quelle europee il petrolio dell’Artico, negli USA puntano sulle estrazioni sottomarine ad alte profondità e i canadesi amano le sabbie bituminose.

Nel complesso, anche se da un anno all’altro i prestiti sono scesi del 22%, la quota di denaro impiegata è ancora troppo superiore agli obiettivi di trattenere l’aumento delle temperature globali entro 1,5 °C al 2100 (rispetto ai livelli preindustriali). Per centrare i target, spiegano gli analisti, le grandi banche dovrebbero chiudere completamente i rubinetti ai grandi inquinatori.

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