Nonostante abbiano presentato la richiesta di AIA per tempo, le aziende di raccolta e smaltimento dei rifiuti potrebbero essere chiuse dal governo
(Rinnovabili.it) – Rispettare la legge in Italia non è sempre sinonimo di immunità. Se ne sono accorte diverse imprese, soprattutto quelle impegnate nelle attività di recupero e smaltimento dei rifiuti, che tra una settimana rischiano di chiudere senza aver violato alcuna norma. Anzi, se ciò accadesse, la colpa sarebbe tutta del ministero dell’Ambiente.
Il motivo? Un “originale” recepimento della direttiva europea sulle emissioni industriali, denunciata da due associazioni di Confindustria: FISE Assoambiente (che raccoglie soggetti nel settore dell’igiene ambientale, della raccolta e dello smaltimento rifiuti) e FISE UNIRE (impegnata nel recupero dei rifiuti).
In un comunicato, pubblicato sul proprio sito, assicurano di aver sollecitato più volte il ministro Gian Luca Galletti a mettere una pezza su una misura che «potrebbe avere conseguenze gravissime su tutto il sistema industriale italiano», spiegano.
Cosa è successo, in pratica? Con il Decreto-Legge n.46 del 4 marzo 2014, il Legislatore italiano, recependo la Direttiva europea sulle emissioni industriali, ha fissato al 7 luglio 2015 il termine entro cui la Pubblica Amministrazione è tenuta a rilasciare l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). La richiesta andava fatta entro il 7 settembre scorso da tutte quelle imprese incluse tra le attività soggette ad IPPC, cioè a prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento. I termini sono imposti dalla stessa direttiva, ma il problema è quanto il governo ha aggiunto al testo europeo. Il legislatore ha previsto la sospensione dell’esercizio per gli impianti che ancora non avranno ricevuto l’AIA dopo il 7 luglio, anche se ne avranno fatto richiesta in tempo. Dunque non per colpa loro, ma solo a causa delle lungaggini burocratiche del governo. Se il procedimento istruttorio non è finito, aziende che in teoria hanno fatto domanda entro i tempi stabiliti per legge, dovranno smettere di lavorare senza alcun motivo valido.
Un cortocircuito che sarebbe comico se non fosse tragico: «È evidente – sottolineano le associazioni – che il perdurare di disposizioni più penalizzanti nella legislazione quadro del nostro Paese sottopone gli operatori italiani ad uno stress normativo che aumenta il gap con i concorrenti europei, determinando conseguenze fortemente negative per l’economia italiana nonché, come in questo caso, il rischio di blocco per decine di impianti di recupero e smaltimento rifiuti».