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Il sogno australiano del “carbone pulito”? Uno spreco di soldi

Il sogno australiano del “carbone pulito”? Uno spreco di soldi

 

(Rinnovabili.it) – Le tecnologie del cosiddetto “carbone pulito” non saranno commercialmente redditizie prima del 2030 senza sovvenzioni governative, e sono fondamentalmente fuori sincrono con il passaggio verso una produzione energetica più flessibile. L’analisi della RepuTex mette così in guardia uno dei Paesi tradizionalmente più legati al carbone, l’Australia, dai pericoli di un’insensata corsa al clean coal. Il termine appare ora tra le prime voci nell’agenda politica australiana, soprattutto in seguito ai diffusi episodi di blackout che hanno colpito il sud del Paese. Per il Governo si tratta di un modo legittimo per mantenere la sicurezza energetica nei momenti in cui le fonti rinnovabili non possono farlo.

 

E mentre laburisti e verdi al Senato chiedono la rapida redazione d’un piano per il phase out delle centrali termoelettriche, il partito liberale che governa il Paese, fa da sponsor al carbone e accelera in senso contrario. Capita così  che dopo aver presentato un piano per la realizzazione di nuovi impianti con tecnologia ultra supercritica, Canberra rilanci i suoi progetti di sviluppo per il CCS (carbone capture and storage) ipotizzando di sostenerli attraverso un fondo di 5 miliardi di dollari, disegnato per attrarre gli investimenti nel nord dell’Australia.

 

Ma l’analisi della RepuTex mette in chiaro: il lungo lasso di tempo richiesto prima che le tecnologie di CCS raggiungano la maturità commerciale significa che il “carbone pulito” non aiuterà l’Australia a raggiungere il suo obiettivo di riduzione delle emissioni 2030. Non solo: l’aumento del prezzo del gas, insieme con il calo dei costi per l’accumulo di energia, ha reso le rinnovabili la fonte di produzione di più economica a livello nazionale. La tecnologia, su cui in realtà hanno messo gli occhi tutte le grandi potenze, dagli Usa all’India, ha tuttora poco più che piccoli impianti su scala sperimentale, in maggioranza negli States. Ma negli ultimi anni, solo l’Australia ha investito nella ricerca dedicata al CCS, oltre 590 milioni di dollari.

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